© Festival film Locarno

© Festival film Locarno

Ci risiamo, è il quarto giorno e inciampiamo anche oggi in un film c.d. da festival, di quelli che non sono adatti al grande pubblico neppure se narcotizzato a dovere. E in questo “grande pubblico” intendo includere il 99% della popolazione che gremisce i cinema. Soprattutto mi domando se qualche accademico faccia credere ai giovani, che frequentano le varie scuole di cinema, che per emergere debbano fare un film per forza noioso e povero nella recitazione, nel suono, nel messaggio. Perchè mi pare inutile infondere grandi speranze, e far credere a un autore che stia producendo alta cinematografia, mentre cerca goffamente di omaggiare i padri della settima arte per mezzo di confusi versi messi in bocca ad aspiranti attori.

Non so come funzioni dietro la macchina da presa una volta conquistato lo status di professionista, ma dubito che la banalità unita ad una buona tecnica siano l’arma vincente per ottenere visibilità nel panorama internazionale.
 Non ancora raggiunta la prima metà del Festival, sono già esausta. Sono davvero tanti, infatti, i più o meno finti documentari ricolmi di fastidiosi rumori ambientali, di sottofondi fatti di vento che sibila tra le foglie, di inarrestabili cicale e di onde del mare che s’infrangono contro gli scogli. E non ne posso più soprattutto di protagonisti in erba che s’impegnano a rendere credibili personaggi che dovrebbero essere gli eredi della beat generation, che si sentono legittimati a condurre una vita da “artisti maledetti”, ma che non fanno altro che bighellonare e passeggiare in musei mentre sussurrano frasi “intelligenti” a fanciulle annoiate.

© Festival del film Locarno

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Un jeune Poète è la storia di Remi, un ragazzino poco più che adolescente che cerca l’ispirazione per comporre i suoi versi. Ovviamente imita i grandi del passato e cerca la vena creativa osservando l’ambiente, la natura e i luoghi più strani. Remi parla coi morti e vaneggia al fianco di scipite coetanee sperando di impressionarle con il suo “dono”. Alla fine questi escamotage si riveleranno inutili e il giovane deciderà di rifugiarsi nell’alcool, regalandoci scene poco edificanti che avrei preferito avessero il buon gusto di non mantenere il sonoro.

Ecco un novello artista. Ecco un film di cui non sentirò la mancanza. Ecco una nuova storia che mi pare già vecchia, per tutte quelle pagine già lette e immagini già viste.
Caro Damien Manivel, non prendertela, andrà meglio la prossima volta – speriamo – in fin dei conti questo era il tuo primo lungometraggio.

Vissia Menza