Italia Uruguay: un precedente

I tedeschi, si sa, sono precisi, ordinati, freddini e un po’ rigidi.

Poi ogni tanto ti sorprendono, come quando qualcuno chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle “Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità” e lei rispose “Non glielo spiegherei, gli darei un pallone per farlo giocare”.

Italia – Uruguay è, per me, Totò Schillaci. Uno a cui negli occhi leggevi la felicità.

Era il 25 giugno 1990, notti magiche inseguendo un gol. L’Italia aveva brillantemente superato il primo turno, ed all’Olimpico ci trovammo di fronte l’Uruguay, che aveva passato i gironi eliminatori per un soffio, ripescata come ultima delle migliori terze. Eppure la partita risultò tutto tranne che semplice: Tabarez, CT dei sudamericani, impostò una partita tutta al difensivo che mirava a spezzare il gioco degli azzurri fin dal centrocampo. Una punta sola, Fonseca, Ruben Sosa relegato in panchina e in mezzo al campo un’acquitrino di contrasti, qualche fallo, una pressione costante che non ci consentiva di ragionare. Persino Baggio, reduce dalla splendida partita e dal gol meraviglioso contro la Cecoslovacchia, sembrò fuori contesto. Il primo tempo scivolò via, e così i primi venti minuti del secondo. Non si riusciva a sfondare.

Poi, al 65°, una intuizione chiamò un’altra intuzione. La prima fu di Vicini, che inserì Serena a far da sponda per l’intoccabile Schillaci. La seconda fu dello stesso attaccante nerazzurro, che intuì alle sue spalle la presenza del siciliano e di esterno sinistro gli servì un pallone al limite dell’area.

Degli istanti successivi ho un vago ricordo: nel momento stesso in cui Schillaci colpì di sinistro tutti intorno a me si alzarono in piedi. Come se la rete si fosse gonfiata ben prima, come se il portiere sudamericano fosse una comparsa, come se tutti in fondo sapessimo che quel pallone era destinato a finire in fondo al sacco.

E ci finì. E furono abbracci nelle case e nelle piazze, e fu l’espressione pazza di gioia di Totò, quel misto di incredulità e felicità pure che vedi anche oggi dipinta negli occhi di un ragazzino.

Totò Schillaci oggi gestisce il centro sportivo per ragazzi Louis Ribolla. Io credo proprio che abbia gli stessi occhi, mentre insegna a un dodicenne come saltare un difensore.

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