Il fanciullo che vedete ritratto qui sopra si chiama Armando Galarraga, ed è – ci sarete arrivati – un giocatore di baseball. Galarraga è un lanciatore, uno di quelli che sale sul monte di sabbia al centro del campo e si sloga la spalla cercando di scagliare alla maggiore velocità possibile la pallina verso il compagno coperto da una armatura, una maschera ed una espressione preoccupata. Fra i due si interpone un tizio con una mazza che cerca di intuire la traiettoria del proiettile ed ha come massima aspirazione quella di colpire la pallina e spedirla in una zona che abbia un CAP differente da quello dello stadio.
Le mie competenze sul baseball si esauriscono più o meno qui, per cui prima di raccontare la storia di Galarraga ho pensato di fare uno squillo ad un amico esperto. Mi ha consigliato di aggiungere che:
– raramente il lanciatore che inizia la partita è lo stesso che la conclude. E’ un mestiere difficile: al primo errore oppure appena la velocità dei lanci sembra calare, l’allenatore si alza dalla panchina, sale sul monte di sabbia, mormora due o tre frasi di circostanza sputando tabacco e lo fa accomodare, sostituendolo con un secondo lanciatore più fresco.
– le squadre si contendono a suon di milioni di dollari i cosiddetti “closer”: si tratta di lanciatori specializzati nelle ultime fasi della partita, che entrano in campo per far fuori gli ultimi battitori e chiudere il match. Il che rende ancora più improbabile l’eventualità che il lanciatore iniziale possa giocare l’intera partita.
Ecco, in una sera del 2010 Galarraga stava completando una partita. Non solo, ma nessuno dei giocatori che gli si erano opposti era riuscito a battere una valida. Un’ultima eliminazione, e Galarraga avrebbe completato il “perfect game”, un evento così raro da essere occorso soltanto una ventina di volte nella storia di oltre 400.000 partite del baseball professionistico americano.
Il signore che vedete ritratto qui sopra si chiama Jim Joyce, e da 24 anni è arbitro nella lega di baseball USA. E’ lui che vede Galarraga lanciare, l’ultimo battitore colpire malamente, Armando spostarsi in prima base per ricevere ed eliminare. E’ lui, Jim Joyce, che sbaglia la valutazione e considera salvo il battitore. Il perfect game evapora per la chiamata sbagliata di un arbitro.
(Ora scavalchiamo l’Oceano, superiamo Spagna e Portogallo e atterriamo in Italia. Immaginiamo una situazione simile qui da noi, dove ancora ci si arrabbia per un fuorigioco non fischiato nel ’72 e dove un qualunque tifoso – io incluso, a volte io per primo – avrebbe probabilmente sollevato il suo vicino di poltrona per scaraventarlo addosso all’arbitro)
Al termine della partita, Armando Galarraga commentò: “Quanto a Joyce andrò a dirgli di non preoccuparsi, capita di sbagliare nella vita”.
Il giorno dopo, stesso arbitro e stesso stadio (in USA si gioca un po’ più spesso che da noi); Jim Joyce ha già fatto pubblica ammenda, ha ammesso quasi in lacrime di aver sbagliato cancellando Galarraga dalla storia, e muovendosi verso il centro del campo per la consegna delle liste di giocatori scopre due cose: che i tifosi dei Tigers lo stanno applaudendo, e che la consegna della starting list non verrà effettuata dal General Manager di Detroit – come tradizione vorrebbe – ma dallo stesso Galarraga.
Gli americani sono un popolo strano: con duemila difetti e tante scelte opinabili, ma la capacità di azzeccarle tutte, in qualche occasione. A pochi giorni dall’inizio del Mondiale di calcio, vorrei che questo genere di concezione dello sport fosse di tutti noi. Buon divertimento a tutti!
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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