Deve essere la quarta o la quinta volta che cerco di scrivere una recensione di questo romanzo, e sto probabilmente approssimando per difetto. Non vivessimo in piena era digitale sarei probabilmente curvo di un tavolo, con un moccolo di candela a rischiarare la stanza e un mare di fogli appallottolati per terra, stracciati con gesto via via più rabbioso.
Il punto é questo: ho molto amato questo libro, mi accingo a cliccare sulle cinque stelle di Anobii e ancora – semplicemente – non so perché.
Eugenides é come uno di quei dottori che escono dalla sala operatoria e devono affrontare i parenti rimasti in attesa, portando nella mente e nel cuore una pessima notizia. E allora non ci può girare attorno, scuote la testa e dice immediatamente che no, il paziente non ce l’ha fatta. Il romanzo inizia così, o meglio ancora ti spiattella questa verità fin da titolo, quando ancora non hai letto una parola: le cinque sorelle si suicideranno. Punto. E siccome c’è il concreto rischio che nella lettura – voce narrante polifonica di un gruppo di ragazzi ormai adulti che ricordano quanto accaduto – qualcuno se lo dimentichi, te lo ricorda spesso: quelle cinque non ce la faranno.
Ed esattamente come il chirurgo a cui accennavo prima, l’autore (e il romanzo) non hanno una spiegazione. Si, c’è il tecnicismo di come sono morte, ma manca drammaticamente il vero perché: se c’è un motivo, é il lettore ad imporlo, sulla base della sua sensibilità e della sua storia personale. Certo, c’è il particolare di una situazione domestica complessa, di due figure genitoriali inadatte, ma non può essere tutto lì: le vie di fuga ci sarebbero, la più concreta è presentata proprio alla fine del libro, ma le sorelle non la colgono e scelgono un altro viaggio.
“Per la maggior parte della gente il suicidio è come la roulette russa. C’è una sola pallottola nel tamburo. Invece la pistola delle sorelle Lisbon era carica. Una pallottola per l’oppressione dell’ambiente familiare. Una per la predisposizione genetica. Una per l’inquietudine legata al contesto storico. Una per l’impeto del momento. Dare un nome alle altre due pallottole è impossibile, ma ciò non significa che non ci fossero.”
Forse è proprio per questo che mi sono innamorato de “Le vergini suicide”: i piani di lettura sono tra i più diversi, l’impianto narrativo solidamente intrigante, gli interrogativi costringono a mille e più riflessioni.
Non é una lettura agevole, e con ogni probabilità vi turberà per qualche ora o per qualche giornata. Ma è un romanzo da leggere, senza alcun dubbio.
Alfonso d’Agostino
Scheda libro
Titolo: Le vergini suicide
Autore: Jeffrey Eugenides
Editore: Mondadori
Collana: Oscar contemporanea
Anno di pubblicazione: 1993,
Pagine: 266
ISBN: 9788804583615
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.