Dall’ormai lontano 1966, ogni edizione dei Mondiali di Calcio è stata caratterizzata da una mascotte, un personaggio (spesso cartoon-esco) padrone del merchandising e destinato a compiacere grandi e piccini.
Ma se il World Cup Willie inglese del 1966 costituiva un richiamo leonino accettabile, già nel 1970 cominciarono i primi guai: Juanito, sfortunato nome del simbolo di Mexico 70, è un rubicondo bambino con il pallone sotto la suola ed un cappello che avrebbe dovuto richiamare un sombrero, ma che nelle sue fattezze definitive risulta un incrocio fra un simbolo fallico etrusco ed un biscotto mal riuscito.
Nel 1974 i tedeschi si affidano a Tip e Tap (ogni infelice battuta su emuli di Cip e Ciop nei commenti, per cortesia): apprezzabile la sensibilità teutonica di affiancare ad un arianissimo biondo un più basso bimbo moro, un po’ meno azzeccate le gote rosse che fanno tanto Heidi-ante-litteram ed il nome, lontano da abitudini e storia tedesca quanto una corrida. Fortunatamente quattro anni dopo arriva l’argentino Gauchito: se si tralascia lo strumento sadomaso nella mano destra, una mascotte che complessivamente ben rappresenta il popolo argentino, con un sorriso a metà fra l’aperto e lo strafottente. Promossa.
Nel 1982 si torna in Europa e ritornano pure le gote rosse (aridaglieee): evidentemente anche le madri spagnole terrorizzano i figli con “metti la maglietta della salute e non sudare” – un evidente ossimoro, tra l’altro – e a farne le spese è Naranjito, un’arancia complessivamente caratterizzata da pura simpatia che è rimasta nella memoria di noi tutti, anche perché legata ai dolcissimi ricordi del Mundial.
I messicani nell’86 mantengono la linea culinaria: resta il sombrero, elemento evidentemente irrinunciabile, ma al posto del bimbo mutandato ecco comparire il tipico peperoncino che se la ride sotto un paio di bei baffoni. I ricordi italiani sono decisamente meno felici, ma Pique mantiene ancor oggi una sua immagine gioiosa.
Furono proprio Pique (giunta terza) e Ciao (seconda), mascotte di Italia 90, a contendere a Willie la coppa di miglior mascotte in un sondaggio del Sun nel 2010. Conoscendo gli inglesi il primo posto del simbolo locale era inevitabile, e la medaglia d’argento assegnata al nostro Ciao brilla ancora di più. Nazionalismi a parte, fu una scelta senza dubbio coraggiosa: si abbandonava per la prima volta il figurativismo da cartoon e si esaltava lo stile italiano del design grafico. Anche il popolo fece la sua parte: il saluto italiano per eccellezza venne scelto sulla base di una votazione avvenuta tramite schedine del Totocalcio, e si impose su Amico, Beniamino, Bimbo e l’orripilante Dribbly.
Difficile raccoglierne l’eredità, ed in effetti Striker – mascotte cagnolesca scelta per USA ‘94 – non ebbe una gran fortuna: sarà che sembrava occhieggiare eccessivamente alla Disney, ma fu abbandonata mediaticamente durante i mesi di preparazione e non comparve neppure nello show inaugurale del torneo.
Abbiamo detto della scelta del nome Ciao, decisione popolare e azzeccata, e dunque non possiamo che stigmatizzare il battesimo di Footix, galletto francese (oggettivamente lontano dall’essere riuscito) il cui nome nasce dall’unione di football e Asterix. Asterix, vi rendete conto?
Ma se Footix poteva non suscitare l’apprezzamento di tutti, che dire di Ato, Kaz e Nik (battute sul secondo nome nei commenti, per favore). Probabilmente le più brutte mascotte mai messe in campo per una edizione a sua volta non memorabile dei Mondiali: Corea-Giappone del 2002.
L’avverbio “probabilmente” del paragrafo precedente è dovuto unicamente alla mascotte di Germania 2006, che con i tre personaggi nippo-coreani si contende la palma per la roba più orribile associata ad un torneo calcistico: Goleo ha un nome imbarazzante, è goffo come un rinoceronte in un laboratorio di Murano e si porta a spasso un pallone parlante di nome Pille. Un incubo.
Fanno meglio in Sudafrica nel 2010: Zakumi è un leopardo con un nome ricco di significato (“Za”è acronimo di Sudafrica in afrikaans, “kumi” significa “dieci” in quasi tutti i dialetti parlati a Città del Capo e dintorni, che sono appunto dieci) ed una immagine complessivamente adeguata, adatta al primo mondiale disputato in una nazione africana. Meno bene le vuvuzela, ma non si poteva avere tutto.
Ed arriviamo finalmente alla mascotte che ci accompagnerà nelle prossime settimane: il suo nome è Fuleco, e se ve lo state domandando da giorni rappresenta un armadillo della specie Tolypeutes tricinctus, tipico del Nordest brasiliano. Un animale non bellissimo, ma che ha la straordinaria capacità di richiudersi in una palla corazzata, e che dunque ben rappresenterà lo sport di squadra più praticato nel globo terracqueo.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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