Aveva già stupito qualche anno fa il pubblico belga con il film “Tournée”, che gli valse una Palmarés come miglior regista a Cannes 2010, e oggi ci riprova proponendo il romanzo di uno scrittore nato proprio in Belgio. Sulla Croisette, ha avuto un’accoglienza benevola, soprattutto il popolo d’oltralpe non si è risparmiato in elogi e parole d’incoraggiamento e supporto, che mi hanno indotta a credere che, varcando la soglia della sala, avrei avuto di fronte un piccolo gioiello, dell’ottimo cinema.
Per l’occasione Amalric ha lavorato con la compagna, Stéphanie Cléau, attrice teatrale il cui tocco si avverte in questa trasposizione che prende in prestito molto dal palcoscenico. In una cornice elegante e intima, con solo quattro volti che si alternano sulla scena, e con due protagonisti forti, si sviluppa la storia di due amanti, Julien e Esther, che si incontrano nella camera azzurra per dare sfogo alla propria passione e che tempo dopo si ritrovano separati, con Julien in un’aula di tribunale accusato di aver commesso un crimine di non poco conto. La pellicola vuole essere focosa nell’incipit, ricca di suspense nella parte centrale e spietata sul finale. L’idea credo fosse quella di trascinare lo spettatore dentro i pochi spazi, per lo più chiusi e claustrofobici (l’intima camera d’albergo, la moderna casa di lui, l’angusto commissariato), e travolgerlo con le emozioni narrate, mostrate, indotte.
L’idea di ridurre gli spazi ricreando l’intimità di un teatro, neppure troppo capiente, e la divisione in tre atti, è lodevole; la fotografia che si adatta alle emozioni provate dai due lati dello schermo pure; le abilità degli attori non si possono mettere in dubbio; ma, nonostante una durata piuttosto breve (il film non raggiunge i gli 80 minuti), qualcosa non funziona. Il girato ricorda molto quello dei gialli a puntate per la TV, tutto suona artificioso, e gli attori, nonostante godano della complicità che solo una coppia nella vita può avere, appaiono rigidi, quasi la telecamera sia riuscita a portar loro via l’anima.
“La Camera Azzurra” è un film che riesce a sembrare lungo, che non cattura e tantomeno aumenta il battito cardiaco dell’audience e di sicuro non strabilia la platea. Ammetto però che fosse in linea con questa edizione del Festival francese: un’opera godibile ma sotto tono, che non esalta le abilità di chi tiene la macchina da presa.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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