Jimmy's-Hall_poster
Ai festival spesso accade che alcuni film colpiscano subito gli spettatori ed entrino nei loro cuori, nonostante non vincano alcun premio, mentre altri vengano dimenticati nell’arco di poche ore, a prescindere dall’evidente elevata qualità e/o dai riconoscimenti ottenuti. Da Ken Loach, dopo lo scoppiettante “La Parte degli Angeli”, mi aspettavo un’opera garbata, sopra le righe, briosa nella sceneggiatura, nei colori e nelle note, in grado di alleggerire i nostri animi provati dai tanti film visti nei giorni precedenti, invece mi sono ritrovata a combattere con i colpi di sonno.

Ken Loach si avvale della oramai consolidata collaborazione con Paul Laverty; “Jimmy’s Hall” attinge a un fatto realmente accaduto; la terra è quella verde Irlanda, ricca di scorci che ogni volta ci lasciano senza fiato per quanto riescano ad essere incontaminati; e il cast appare a suo agio (per non dire divertito e pieno di orgoglio) nel vestire panni coperti da un secolo di polvere. Mi ha stupito quindi notare l’assenza di quel guizzo in grado di elevare l’opera portandola da lavoro meticoloso, attento e socialmente impegnato (come da tempo ci ha abituati il signor Loach), ad un livello memorabile.

Il protagonista di "Jimmy's Hall" © Sixteen Films

Il protagonista di “Jimmy’s Hall” © Sixteen Films

Jimmy Gralton ha avuto, oggettivamente, una vita costellata da scelte e esperienze fuori dal comune, non solo ai nostri occhi abituati al nuovo millennio, bensì anche per la sua epoca. Era il 1932, Jimmy tornato a casa dopo aver trascorso dieci anni negli Stati Uniti, in una sorta di esilio volontario per divergenze politiche/ ideologiche, decide di riaprire la vecchia Hall del paese così da offrire alla popolazione locale la possibilità di incontrarsi, cantare, ballare, leggere, parlare e… studiare.

Questo spazio dove arricchire la propria conoscenza e sviluppare uno spirito critico, grazie al confronto con gli altri, non piace –ovviamente- a chi detiene qualsivoglia forma di potere. È la solita vecchia storia che si ripete, non importa a quale latitudine e in quale epoca: una massa di curiosi, alfabetizzati, con una cultura, è pericolosa e non gestibile, potrebbe porre troppe domande e far perdere i privilegi a chi li ha da troppo tempo.

Una scena di "Jimmy's Hall" © Sixteen Films

Una scena di “Jimmy’s Hall” © Sixteen Films

Non piace quindi neppure a Padre Sheridan, la guida spirituale del luogo, il quale si espone in prima persona per far chiudere quello spazio in grado di attirare più persone del suo pulpito. Il risultato sarà una deportazione che passerà agli annali d’Irlanda e un film visivamente impeccabile, con dialoghi sagaci e ironici, in grado di elettrizzare Irlandesi e relativi simpatizzanti presenti in sala che, personalmente, mi ha lasciato perplessa. Oltre a voler mantenere viva la memoria storica, l’opera aveva il fine di scuoterci, ma in che direzione?

In quest’epoca in cui gli ideali sono sempre più un lontano ricordo, voleva incitarci ad avere coraggio? A non perdere l’obiettività? Ad aggrapparci saldamente alla libertà di parola, espressione, pensiero? Devo giustificare così un film che ho percepito più indeciso dei precedenti, in bilico tra il biografico, il drammatico e il melò senza speranze?

Forse, ero solo troppo sovrastata da due settimane d’immagini cariche di moniti legati alla crisi, economica e morale, quindi attenderò con speranza il secondo giro di un film il cui successo al momento non mi spiego.

Vissia Menza