24° FCAAAL: Recensione del film tunisino BASTARDO

Si chiama Mohsen ma tutti lo chiamano Bastardo (in italiano nell’originale) perché da piccolo fu trovato in un cassonetto. Senza origini e senza storia, ha subito da sempre l’esclusione e il rifiuto da parte dei suoi vicini. Ha appena perso il lavoro e vive col suo gatto in una periferia degradata, quasi una baraccopoli, dove spadroneggia l’immondo ciccione Larnouba. Da piccoli erano amici, ma oggi è il ras del quartiere: chiede il “pizzo” a tutti, e nessuno osa ribellarsi alla sua terrorizzante, cieca violenza.

Il suo vicino Khlifa ha fatto un lucroso affare con la società dei telefoni: sul tetto di casa sua verrà installata un’antenna GSM, finalmente in paese si potranno usare i telefoni cellulari. Ma poi i tecnici dicono che non va bene, ci vuole una casa più alta, quella di Mohsen sarebbe perfetta. Si chiude l’affare: divideranno il compenso a metà e insieme apriranno anche un negozio di telefoni. Mohsen vede improvvisamente migliorare le sue condizioni economiche, e con quelle comincia ad avere il rispetto dei compaesani: ora non è più Bastardo, lo chiamano Signor Mohsen.

Photo: courtesy of 24° FCAAAL

Il suo successo scatena scatena però l’invidia di Larnouba: la sua famiglia conquistò l’attuale prestigio quando il padre, 30 anni prima, fece arrivare l’acqua potabile. E ora si fa sfuggire l’affare dei cellulari? Sobillato dalla madre Khadhra, feroce e manipolatrice, a cui nel privato è sottomesso come un agnellino, scatena i suoi scagnozzi per riprendersi quello che ritiene suo di diritto: distruggono il negozio e arrivano ad uccidere Khlifa.

Mohsen non ha il coraggio di difendersi o vendicarsi: ma ce l’ha Bent Essegra, un’altra esclusa perché fin da bambina ha il magico potere di attrarre a sé tutti gli insetti del circondario. Segretamente innamorata di Mohsen e amante, solo per denaro, di Larnouba, lo accoltella e lo riduce in fin di vita. Per Mohsen la strada è libera: ma non è più il ragazzo gentile di una volta, i soldi – e il potere di accendere o spegnere il prezioso ripetitore – gli hanno dato alla testa, ne vuole sempre di più e subentra a Larnouba alla testa degli estorsori.

Il regista Nejib Belkadhi
Photo: courtesy of 24° FCAAAL

Una storia di povertà e oppressione, di superstizione e magia, di solitudini e affetti non corrisposti, di vendette e madri feroci. Molto materiale, perciò. Il regista Nejib Belkadhi sembra però indeciso su quale linea scegliere. Inizia il film come un racconto intimista, quasi neorealista; poi improvvisamente la macchina da presa gli si imbizzarrisce in mano e da De Sanctis prende la strada di Kusturica, per piombare poi di botto in pieno Robert Rodriguez. I personaggi sono tutti davvero eccessivi, una vera raccolta di fenomeni da baraccone, il grottesco in crescendo va totalmente fuori controllo, a partire dalla figura della madre (impersonata da un attore en travesti e con una voce cavernosa). E non ci sono spiegazioni né per le apparizioni di fantasmi dal passato né per le curiose caratteristiche della Signora degli Insetti – o forse è un simbolo, ma chissà di che.

Probabilmente il film voleva essere una metafora dell’effetto positivo ma anche pericoloso dell’avvento della modernizzazione, e qualche intenzione vagamente sociologica la si intravvede nelle descrizioni di un’enclave totalmente senza Stato, dove regnano la legge della giungla e la superstizione (in caso di malattia o ferite meglio la fattucchiera del medico). Purtroppo sono solo accenni, il risultato è una commedia coloratissima e stravagante, ma più balorda che surreale, con momenti splatter del tutto gratuiti (no, non è MACHETE), squilibrata nelle interpretazioni, a tratti ridicola, dove magari si sghignazza ma senza mai realmente divertirsi. Peccato.

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