Il vicequestore Rocco Schiavone è un poliziotto borderline, che si spara una cannetta ogni mattina, non si fa scrupolo di intercettare carichi illegali se c’è da guadagnarci qualcosa e – dalla morte della moglie – tratta le donne coi i tratti del cinico disincantato, scevro da ogni capacità di interesse od attenzione.
Il vicequestore Rocco Schiavone, romano ed impiegato a Roma, è stato scaraventato ad Aosta, già teatro del precedente “Pista nera”, dopo aver provveduto a giustizia privata contro un violentatore di ottima famiglia, riducendolo quasi in fin di vita.
Eppure, il vicequestore Rocco Schiavone ottiene tutta la simpatia del lettore: sarà quel sarcasmo così pungente, sarà che non sopporta i pressapochisti, sarà che prende a cuore ogni indagine con una empatia verso le vittime che sembra sfiorare il patologico ma sì, il vicequestore Rocco Schiavone ci piace.
Ed ogni volta che mi ritrovo tra le mani un romanzo che ha per protagonista il riuscitissimo personaggio di Antonio Manzini mi rendo conto di non poter resistere al sottile fascino seduttore del più intollerante poliziotto della letteratura gialla italiana degli ultimi anni, che certamente si innesta sul florido vivaio degli investigatori “maledetti” (primo fra tutti l’indimenticabile Duca Lamberti di Scerbanenco) ma che rinfresca il topos letterario con caratteristiche originali e catturanti. Eppure, una umanità ben tratteggiata e certamente superiore a quella di molti suoi colleghi di poliziesco non basta a spiegare il sostegno che Schiavone inesorabilmente ottiene da parte del lettore.
Credo ci sia di più, e credo ci sia qualcosa su cui riflettere. Perchè mi rendo conto che possa sembrare banale o un po’ demagogico, ma non è forse vero che le reazioni – anche violente – del vicequestore corrispondono in pieno a quelle prime risposte istintive ed emotive che prendono ciascuno di noi nella lettura di cronache reali di pura malvagità? Non ci è forse mai scappato un “bisognerebbe bastonarli” (o peggio…) nei confronti di chi si è macchiato di qualche nefandezza criminale?
A me sì, e in Schiavone vedo lo specchio di quello che istintivamente vorrei e che razionalmente so debba essere controllato. Manzini mostra cosa accadrebbe se quelle pulsioni fossero assecondate, se il sistema della giustizia privata – anche se praticata da un esponente delle forze dell’ordine – dovesse prendere piede.
E, inevitabilmente, ci fa riflettere.
Alfonso d’Agostino
P.S. Qualche giorno fa parlavo (con una magnifica focaccia genovese sul tavolo) della scuola italiana del giallo e delle sue caratteristiche. Sono giudice imparziale, perchè la adoro (la scuola italiana del giallo, ma anche la focaccia genovese). Manzini la rappresenta al meglio (la scuola italiana del giallo, non la focaccia genovese).
Scheda libro
Titolo: La costola di Adamo
Autore: Antonio Manzini
Editore: Sellerio
Collana: La memoria
Anno di pubblicazione: 2014
Pagine: 284
ISBN: 9788838931383
Prezzo: 11,90 euro (-15% Amazon)
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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