Recensione dell’incredibile film L’Impostore (The Imposter)

Un detto popolare dice che la “realtà supera sempre la fantasia” e, dopo aver visto “The Imposter” direi che mai assunto fu più azzeccato! Il film in anteprima alla 32° edizione del Bergamo Film Meeting (8-16 marzo 2014) e da domani in tutte le sale, ha davvero dell’incredibile. È una di quelle storie vere che appaiono impossibili a un occhio esterno e razionale e, in questo caso, non possiamo neanche trincerarci dietro il solito luogo comune che “solo in America possano capitare cose simili” perché oltre a mezzo Texas anche mezza Europa è stata presa per il naso da un ragazzo assai problematico di soli 23 anni.

“The Imposter” narra la storia del piccolo Nicholas, sparito da San Antonio nel 1994, “ritrovato” nella cittadina spagnola (!) di Linares tre anni più tardi. Il ragazzo è molto cambiato rispetto al passato e a come avrebbe dovuto essere (nonostante l’adolescenza stravolga a tutti i connotati), ma viene subito ri-accettato in famiglia senza troppe domande, stante l’esperienza da incubo vissuta per anni dal giovane.

photo: courtesy of Feltrinelli Real Cinema

Il film si apre con la ricostruzione dei fatti del 1997 così come ricordati dalle persone coinvolte. La pellicola di Bart Layton, non è un documentario, è molto di più: è un’opera che attinge al cinema per fondere gli stili narrativi e restituire allo spettatore una storia ibrida in cui i fatti sono veri, ma gli attori si alternano agli intervistati. Lo scopo è di creare un nuovo terreno in cui portare il pubblico, in cui fargli provare le emozioni dei singoli, farlo entrare nella loro prospettiva per toccare con mano come la verità possa variare, a seconda di quali siano le convinzioni a cui ci si aggrappa.

Sin dai fotogrammi iniziali, dal riavvolgimento di quel nastro durante i titoli di testa, capiamo che qualcosa non quadra. Dapprima lo stile ci destabilizza e ci porta a cercare conforto nel vicino, chiedendo conferma che sia un documentario e non un mokumentary o altro genere strampalato. Poi, ci convinciamo sia un’opera di finzione giacché la storia ha dell’incredibile: uomini, specialisti, funzionari, persone di esperienza e con studi di settore, tutti sono stati ingannati da un ragazzino terrorizzato dalle sue stesse menzogne e sopraffatto dall’assurda situazione (tutti gli credevano!). Infine, siamo assorbiti dalla suspense, dai continui colpi di scena e non ne abbiamo mai abbastanza, ci tramutiamo in segugi famelici di verità… ma quale verità, esattamente?

photo: courtesy of Feltrinelli Real Cinema

“The Imposter” dimostra che si possa raccontare una storia vera tenendo sulle spine le persone; che il destinatario di un’immagine sia in grado di trasformarsi da passivo fruitore in detective iperattivo; che le persone normali non esistano; e quanto i demoni siano diffusi anche tra coloro con le migliori intenzioni. Ma soprattutto, questa è un’opera prima, un esordio coi fiocchi nel mondo del lungometraggio. L’autore ha avuto un gran istinto, ha scelto una storia inattesa, è stato abile nello scrivere il copione e nel montare le immagini, ed ha dimostrato una gran bravura nel inventarsi uno stile che fosse proprio, innovativo, unico, e di supporto al racconto.

Il mio voto è un entusiasta 7. Non stupisce leggere dell’accoglienza ricevuta al Sundance 2012 e del premio vinto ai BAFTA 2013 (migliore opera prima): è una pellicola incredibile, con una sensibilità inattesa, che mai giudica, è carica di suspense e colpi di scena, è narrata con incalzante ritmo, ed apre la porta al documentario thriller. Chapeau!

Vissia Menza

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