Prendete tutto quello che sapete o che avete letto di Richard Matheson e mettetelo da parte dopo averlo accuratamente ripiegato: “I ragazzi del massacro” non ha nulla a che vedere con le surreali atmosfere di “tre millimetri al giorno” o con gli ambienti cupi e inquietanti di “Incubo a seimila metri“. “I ragazzi della morte” é un romanzo verissimo, ambientato nella seconda guerra mondiale e non a caso dedicato dall’autore ai figli:
“Con affetto, ai miei figli Richard e Christian
Possa la lettura di questo libro essere il loro unico contatto con la guerra.”
Matheson ci racconta le vicende di Everett Hackermeyer, diciottenne di Brooklyn inviato nel 1944 sul fronte gli guerra europeo. Un ragazzo problematico, segnato da una infanzia difficile, la madre morta, il padre assente, l’affidamento a parenti.
“Sua cugina e sua zia avrebbero incassato un sacco di soldi sulla sua assicurazione militare.
Aggrottò le sopracciglia. Era stato sciocco a nominare loro come beneficiarie, soltanto per il gusto di non nominare il babbo. Avrebbe potuto scegliere qualcuno che se lo meritasse di più.
Hitler, per esempio.”
E’ un racconto crudo, certamente verosimile e drammaticamente caratterizzato da episodi di vita da trincea che rendono il percorso di formazione del protagonista certamente accelerato ma altrettanto orribile: immaginate un concentrato di “I vivi e i morti”, aggiungete una spruzzata di “Band of Brothers” (una delle più belle serie tv di sempre), un pizzico di “Salvate il soldato Ryan” ed avete un quadro piuttosto preciso di quello che vi aspetta. Ossia, in tre parole, un magnifico romanzo di guerra che cerca in ogni modo di restituire lo schifo assoluto che ogni conflitto armato rappresenta.
Iniziato e terminato nel giro di 24 ore esatte. Annichilente, profondo, mostruosamente efficace.
Alfonso d’Agostino
“Sei un umorista, Guthrie!» esclamò.
«No, caro, cerco di sfuggire alla dura realtà quotidiana nascondendomi dietro uno schermo di buffonate. Credo di averlo già detto un’altra volta”.
«I ragazzi americani sono fortunati sotto questo rapporto», riprese Guthrie. «Ricevono enormi quantità d’amore. Disciplina poca, ma amore a mucchi.»
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.