La provincia di Chocó, lunga la costa del Pacifico, pur ricchissima di bellezze naturali è la più povera della Colombia: qui però niente coca, fra boschi e pietraie fra le poche fonti di sostentamento ci sono le miniere d’oro, letali per chi ci lavora a causa dei micidiali procedimenti estrattivi completamente manuali che utilizzano il venefico mercurio.
La popolazione, a differenza del resto del paese a predominanza bianca e india, è al 95% di neri, come la nostra protagonista. Thirtyish Chocólatico – soprannominata Chocó, come il paese in cui vive – è una donna nera sui 25 anni che lavora come cercatrice d’oro. Ha due bambini e li tira su da sola, perché il marito è un suonatore di marimba che dilapida i guadagni di entrambi al gioco e all’osteria. Ogni sera Everlides torna ubriaco alla loro catapecchia e si sfoga con la moglie, la violenta e la picchia. Lei, per quel che può, cerca di dare un’educazione ai suoi figli e le piacerebbe viziarli un pochino: la bambina soprattutto, che per il 7° compleanno vorrebbe tanto una torta.
Il viscido padrone dell’emporio le fa capire che sarebbe disposto ad un pagamento “in natura”: Chocó rifiuta sdegnosamente. Ma poi il marito le ruba i risparmi faticosamente accantonati per pagare la scuola dei bambini e alle sue proteste la picchia davanti a tutti: rabbiosamente la donna si concede al commerciante e si porta a casa una favolosa torta glassata. All’ennesima violenza del marito alla fine si ribella, lo atterra e dà fuoco al tugurio dove vivono. Non vuole più restare in quel luogo avvelenato, dove a causa del mercurio i bambini nascono con 6 dita nei piedini; e se ne va coi suoi figli, in cerca di una nuova vita.
Si tratta di una storia, universale e certo non nuova, di ordinaria miseria e violenza familiare. Il film è realizzato quasi come un documentario nei luoghi di origine del regista Jhonny Hendrix Hinestroza, produttore televisivo e autore di corti al suo primo lungometraggio. A parte la bellissima Chocó/Karent Hinestroza, moglie del regista, protagonisti sono gli abitanti stessi della derelitta comunità, da cui proviene e che ben conosce, ripresi durante la loro vita quotidiana, il lavoro, i momenti di religiosità.
Sembra un tipico “film da festival” (è stato a Berlino, Carthagena e Milano), un prodotto progettato a tavolino per l’esportazione. Eppure negli stiracchiati 70 minuti di film (più altri 10 di titoli di coda, dove si ringrazia per nome fino all’ultima comparsa) solo in rarissimi momenti ci mostra particolari che ci aiuterebbero a capire qualcosa di più di un universo di cui da questa parte del mondo nessuno sa nulla. L’intenzione era probabilmente di mostrare la linea sottile che divide la speranza dalla disperazione, e quanto la violenza lungamente subita possa infettare anche l’animo più gentile: ma non sono proprio riuscita ad emozionarmi, solo ad annoiarmi. Una buona occasione perduta.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.