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“Un ragionevole dubbio” è un thriller, una crime story, una pellicola tutta americana sul potere del senso di colpa. Prendiamo il classico bravo ragazzo di successo, con una moglie adorata e adorante e un piccolo pargolo che gattona per casa, e poi, una sera, gli facciamo alzare il gomito e investire un uomo. Impaurito, il giovane commetterà una serie di leggerezze che gli costeranno care. Quello che ancora non sa, infatti, è che l’accaduto finirà in TV: la nottata per lo sconosciuto arrotato si è rivelata molto lunga e con diverse zone d’ombra.

Il nostro eroe si chiama Mitch Brockden (Dominic Cooper), è un procuratore distrettuale di quelli che si sono fatti un nome in fretta, perché non perdono mai una causa e stanno riscattando un’infanzia che non prometteva nulla di buono. E, sfruttando la sua posizione privilegiata, Mitch riesce a seguire le indagini e il processo a Clinton Davis (Samuel L. Jackson), l’uomo accusato dell’uccisione del passante da lui investito.

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Il senso di colpa prenderà però presto il sopravvento e le soluzioni adottate dal protagonista per salvare la pelle al processato, si riveleranno davvero controproducenti: creeranno, infatti, un ingombrante precedente e metteranno a rischio l’incolumità di un bel po’ di persone poiché non considereranno i fatti nel giusto contesto. Perché, come avrete letto sulla locandina del film, il fulcro della storia è scoprire se esista o meno una giustizia oltre la legge. Quanto vediamo accadere, è giustificabile? E… cosa avremmo fatto noi se ci fosse capitata una cosa simile?

Ciò che vi ho appena raccontato è solo l’inizio di una trama che speravo fosse ad alto voltaggio ma si è rivelata semplice e prevedibile (soprattutto se si mastica quotidianamente il genere poliziesco). L’ingresso in scena di Samuel L. Jackson è convincente, forse è il momento migliore, e spicca rispetto a Dominic Cooper che, nonostante sia tanto amato a Hollywood, non mi è parso brillare più che in passato. Per il resto, è un susseguirsi di dialoghi non sconvolgenti che rendono le immagini ancora più “telefonate” di quanto già non siano, infatti, la suspense s’affievolisce a tal punto da giocarcela del tutto prima di giungere al gran finale.

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Sia chiaro, non aspettatevi gravi imperfezioni nella fotografia o nella scenografia o attori fuori forma, il problema è che tutto è da manuale, anche troppo. C’è il bianco fortunato, il nero sfortunato, c’è il buono in crisi di coscienza, la poliziotta tosta, la famiglia in pericolo (con l’immancabile bebè nascosto nell’armadio) e via così sino all’epilogo. Manca un guizzo, un qualcosa di unico che ci faccia ricordare quanto visto, che lo differenzi dalle altre pellicole e temperi quella semplice sceneggiatura, apparentemente scritta da un autore in erba. Ed è stato proprio questo dubbio a indurmi a verificare la biografia del regista e “Un ragionevole dubbio” è realmente il lungometraggio d’esordio di Peter P. Croudins, inutile quindi infierire oltre :)

Probabilmente in televisione appassionerà molto di più di quanto farà su grande schermo. Sicuramente non è il thriller più avvincente della stagione. Film che si lascia vedere e non turberà il sonno di nessuno.

Vissia Menza

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