Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, nato ad Amiens nel 1741 da florida famiglia di funzionari governativi, era ufficiale d’artiglieria.
Giansenista di nascita e illuminista di formazione (considerò sempre Rousseau suo padre spirituale), aderì al Club dei Giacobini e da amico e collaboratore di Danton divenne autore dei discorsi di Robespierre. Dopo la sua caduta fu reintegrato nell’esercito nel 1794 da Napoleone stesso, che lo nominò Generale di Brigata. Partecipò alle Campagne del Reno e d’Italia; inviato a Taranto a sovrintendere alla costruzione delle fortificazioni vi morì di malaria nel 1803. Aveva rifiutato i conforti religiosi e fu pertanto sepolto nel forte che ancora porta il suo nome.
Nel 1782, 7 anni prima della Rivoluzione, aveva pubblicato il romanzo LE RELAZIONI PERICOLOSE, steso in forma epistolare com’era di moda a quel tempo. Sono 175 lettere di varia lunghezza, scritte in una prosa fresca e stringata, cambiando radicalmente stile a seconda del carattere e della personalità dei diversi corrispondenti: sono 14, ma tutto ruota intorno a 4 protagonisti. In Italia l’hanno letto in pochi – per quanto non all’Indice, dato l’argomento scabroso è stato a lungo considerato un libro scandaloso e decisamente sconsigliabile – ma molti hanno certo visto le due trasposizioni cinematografiche del 1988: il cinico, duro e realistico DANGEROUS LIAISONS di Stephean Frears con Glenn Close e John Malkovich (tratto dall’adattamento teatrale di Christopher Hampton) e il più scanzonato, giovanile e meno pessimista VALMONT di Milos Forman con Annette Bening e Colin Firth.
Laclos si dichiarava un moralista intento a descrivere gli abissi dell’immoralità al fine di mettere in guardia l’umanità. Narra qui la storia di una sordida competizione, tutta giocata fra sesso e potere, condotta da una coppia di cugini ex-amanti – la marchesa di Merteuil e il visconte Valmont – ai danni di due giovani donne. Cécile è nipote di lei: vergine sedicenne è appena uscita dal convento e fidanzata dalla madre ad un maturo ex della marchesa, che vuole vendicarsi; la ragazza si rivelerà molto meno ingenua e sprovveduta, e decisamente più corruttibile, di quanto i due credessero. L’altra è Madame de Tourvel, sposata, virtuosa e sinceramente innamorata del marito. La Merteuil, per puro dispetto, si serve dell’incosciente “seduttore seriale” Valmont per rovinarla: la porterà al suicidio. Questa ennesima crudeltà non le viene perdonata: le costa la reputazione e in società viene pubblicamente biasimata ed esclusa.
200 anni dopo lo scrittore est-berlinese Heiner Müller, forse il più grande drammaturgo tedesco del ‘900 dopo Bertolt Brecht, in un momento difficile della sua vita coniugale decide di trarne una pièce teatrale: ecco QUARTETT, messo in scena per la prima volta nel 1982, 7 anni prima della caduta del Muro di Berlino. Compressa in poco più di un’ora la storia è intatta, stessi il rapporto sado-masochistico fra i personaggi, la beffarda crudeltà, la sensazione di fine di un’epoca; solo il linguaggio è più spudorato e brutale. Quelli che nell’originale erano quattro protagonisti restano ancora tali nella prosciugata trasposizione scenica, ma sono interpretati da due soli attori, un uomo e una donna. I persecutori si scambiano i ruoli fra di loro e con le vittime, entrambi sono a turno la gelida manipolatrice Merteuil e il lussurioso Valmont, l’innocentina Cécile e l’appassionata Tourvel. Non c’è nessun cambio di costumi, il continuo mutare di personaggio e di sesso, in totale naturalezza, è affidato esclusivamente all’eccezionale qualità degli interpreti.
In questa edizione del Teatro Stabile di Torino abbiamo la fortuna di avere l’affascinante Laura Marinoni, bellissima e letale come una tigre, e l’ottimo Valter Malosti, anche eccellente regista.
La scenografia di Nicolas Bovery è uno scatolone grigio-cemento, vasto ma claustrofobico, quasi un bunker illuminato da 6 gelidi tubi al neon e arredato solo da un letto da ospedale e un comodino su cui campeggia un lugubre mazzo di rose nere. Sullo sfondo un finestrone: mai trasparente, a tratti è specchio, o colorato di blu, o di un giallo putrescente. Non ci sono contatti con l’esterno, solo rumori, esplosioni e urla come di un assedio. Tutta la pièce si svolge presso il letto a cui la Merteuil, come una malata terminale, è legata dal tubo di una flebo – quasi incatenata, pur nel suo sensualissimo negligé. Lì avvengono le confidenze e i complotti, si incontano martiri e aguzzini, in un gioco inumano ed eterno si progettano nuove atrocità e si evocano fantasmi, senza rinunciare a momenti di macabra allegria.
Tutta l’azione è sottolineata da una colonna sonora, curata da G.u.p. Alcaro, formata da frammenti di musica classica tedesca, dall’elegante e asciutto clavicembalo di Bach agli archi maestosi di Wagner. E in sottofondo alla seduzione di Cécile c’è un ironico Inno alla Gioia di Beethoven: ma non nella versione da concerto, bensì in quella che fece da colonna sonora all’altrettanto „malata“ ARANCIA MECCANICA. Una lode particolare va poi all’ottimo lavoro di Agnese Grieco per il suo ruolo di Dramaturg, molto più che una traduttrice. Tutti insieme hanno concorso a creare uno spettacolo denso e importante, che lascia il segno nell’animo dello spettatore.
Dopo il recente debutto nazionale al Teatro Carignano di Torino QUARTETT è fino al 16 febbraio al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Proseguirà la tournée a Roma, in Italia e all’estero – informazioni sul sito.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
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