“La Gente che sta Bene”, titolo preso da un libro, di autore nostrano, avvocato prima, blogger dopo, scrittore e sceneggiatore ora. Dotato di grande fantasia, fine osservatore, ironico senza mai discostarsi troppo dalla realtà, Federico Baccomo Duchesne scrive un romanzo che arriva oggi al grande schermo grazie al sodalizio con il regista Francesco Patierno.
Storia ambientata nella Milano nota ai più per essere (stata) la capitale degli affari, della moda, del glam nelle sue varie espressioni, che oggi rivela il suo lato cinico, triste e tragico, in conseguenza di quella crisi che sempre più spesso fa da sfondo ai nuovi libri e film. La pellicola, in effetti, fotografa quella categoria di persone che sta bene, appunto, con ben più di uno stipendio sicuro e un tetto sulla testa. “La Gente che sta Bene” si concentra su coloro che “sono arrivati”, persone di successo, invidiate, che spiccano nella comunità, che possono soddisfare ogni sfizio, perché vivono nell’agio ed hanno un nome “che conta”.
Il protagonista della nostra favola moderna è l’avvocato Durloni (Claudio Bisio), perfetto esemplare di uomo che guadagna così tanto da permettersi di non guardare più in faccia nessuno e di non ascoltare più l’amata moglie Carla (Margherita Buy), convinto di essere immune dai problemi ed esonerato dal confrontarsi con gli altri. Ma, si sa, la crisi economica è in grado di distruggere in un lampo qualunque mondo ovattato, anche quello in cui vive il nostro eroe che, infatti, un giorno va in frantumi.
Durloni non ci sta: è cinico e pieno di se, si sente un superuomo con tutte le risposte in tasca, e per un attimo crediamo anche noi che non proverà mai cosa significhi il non venir considerati, il dover sgomitare per sopravvivere, l’aggrapparsi a un’illusione per non mollare. Invece cade anche lui (e di ciò ringraziamo autore e regista). Il film però lascia qualche speranza e sembra dirci che chiunque possa brillare, spegnersi e riaccendersi; che la seconda chance esista; e che solo gli affetti più cari siano in grado di farci aprire gli occhi e salvarci.
Un’opera, quindi, apparentemente di facile immedesimazione (chissà, forse qualcuno si sentirà vicino anche all’avvocato rampante e sbruffone che diventa sempre più infelice e debole), che inizia come una commedia e chiude come un dramma, con un epilogo in cui la figura femminile ne esce vincitrice e la redenzione è sempre in agguato.
Alla partenza piuttosto brillante segue però – ahinoi – una parabola discendente in tutti i sensi. Il sopravvento di un registro drammatico, infatti, spegne notevolmente la storia e l’interesse nel pubblico, facendo emergere le cose che non convincono. In primis quel poster che confonde le idee (non siamo difronte a un simil-cine panettone ma a una commedia dark); poi il cast che, in panni cattivi, forse non è abbastanza senza scrupoli; e da ultimo quella chiusura buonista tanto carica di speranze da discostarsi troppo dalla realtà, la nostra, in cui chi crolla fa una brutta fine e chi è fetente, la fa sempre franca. Il nostro voto, quindi, è di sufficienza all’orizzonte ma non raggiunta.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
Leave a Comment