Ci sono storie difficili da raccontare, drammi così disarmanti da apparire fiction grottesche. La lontana Cina, continente in rapida evoluzione e vorticosa crescita, soffre di un male che pare incurabile: le nuove generazioni sono senza speranze. Le frustrazioni, gli insuccessi, la presa di coscienza che il futuro non sarà rose e fiori, portano la gente all’esasperazione e a diventare violenta nella vana speranza di incrinare il sistema o, molto più probabilmente, di trovare uno sfogo alleggerendo la propria coscienza.
Come al solito, purtroppo, la realtà supera di gran lunga la fantasia e le notizie delle pagine di cronaca sono così agghiaccianti da essere perfetti plot di racconti naturalmente ironici ma dal messaggio molto (molto) serio. Qualcosa deve cambiare o la follia collettiva dilagherà come un virus senza cura. E non stupisce che la sceneggiatura di “A Touch of Sin” abbia vinto a Cannes 2013: fotografia della Cina che cambia, istantanea di un Paese con gente stremata, ritratto straziante di giovani generazioni che si piegano a un crudele destino senza neppure lottare.
Il regista Jia Zhangke prende spunto da quattro notizie (vere!) per narrare quattro storie cinesi, percorrendo da un lato all’altro il Paese e mostrando le diverse facce del peccato legate da un impercettibile filo: l’onnipresente germe della violenza (e della giustizia privata) caratterizzato da reazioni che variano solo a seconda del contesto. La risata è amara, la luce è diffusa come a voler sospendere i personaggi nel tempo e nello spazio, e la sensazione di disagio a fine proiezione è inevitabile.
Si parte dalla storia di un operaio che vive in un paese che dipende dalla locale miniera, in cui chiunque abbia qualche forma di potere è corrotto e fa promesse che non mantiene, per passare alla fabbrica in cui transita un rapinatore che riesce solo così ad ottenere i soldi per la famiglia; per arrivare al solito triangolo amoroso che finisce con botte da orbi; e si finisce con la più dolce, triste e tragica delle situazioni: due giovanissimi, innamorati ma coi piedi per terra, che, non ravvedendo per sé alcun futuro, finiscono per piegarsi e subire la tragica realtà. Uno riuscirà a convivere con il ricordo l’altro reagirà a suo modo.
Difficile raccontare di un film così realistico, freddo e duro. Difficile commentare un’opera dal chiaro tocco orientale, differente dalla nostra sensibilità ma efficace nel colpirci dentro. E ancor più difficile è convincere che ci siano talvolta film lunghi e ben fatti che valgano tre ore della nostra giornata, nonostante la consapevolezza che usciremo dalla proiezione con l’amaro in bocca.
La pellicola è ricercata, sottile, mai pedante e intrigante grazie ad una suspense che saggiamente aleggia dall’esplosivo inizio fino alla straziante fine. “A Touch of Sin” non è un’opera leggera, è lenta e inadatta a coloro che soffrono l’assenza di dialoghi serrati, di scene ad effetto, di costanti raffiche di mitra, ma vale la visione soprattutto per il dramma che aleggia costantemente e che emerge con forza nell’epilogo inducendoci a credere che talvolta sia meglio non avere aspirazioni, altrimenti si finisce col perdere la testa.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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