Si dice che i disastri culinari nascano così: un cuoco sperimenta (e l’esperimento è sempre una buona cosa) ed aggiunge.. uhm… vediamo… diciamo quattro elementi.
Con il primo il piatto è ottimo. Con il secondo e il terzo è ancora accettabile. Ma con il quarto… argh!… con l’aggiunta del quarto il manicaretto si tramuta in un pastone con l’odore di uno spogliatoio di terza media ed il sapore di una ciocca di capelli bagnati nel fango.
A questo punto il cuoco coscienzioso, dopo essersi ferito le papille gustative nell’assaggio e aver notato la comparsa di bubboni sulle labbra immediatamente dopo, butterà via tutto.
Ecco, Glenn Cooper invece ci mette la parola FINE e spedisce in stampa.
Ora, ammetto che il mio (imponente) naso si era già storto nella lettura della quarta di copertina: Excalibur e Graal sono argomenti che sottendono la stessa dose di originalità di un paio di Ray-Ban comprati da un ambulante sulla spiaggia. Mi son detto che ero il solito esigente, che se il volume domina in classifica un motivo ci sarà, che la devo smettere di fare il fighetto intellettualoide, che… Mi son detto un sacco di cose, ma l’unica che avrei dovuto ascoltare era quella che diceva: “Lassilo stàr”.
L’effetto è che mi sono persino arrabbiato. Non solo con me stesso, ma anche – e soprattutto – con l’autore: passino i riferimenti mitologici presi dall’Enciclopedia dei Piccoli, passi persino una trama di una prevedibilità sconcertante (ma chi sarà mai a tradire il protagonista?), passi infine una galleria di personaggi stereotipati che farebbero la felicità di un museo delle cere e ne mantengono l’espressività. Ma un aspetto è inaccettabile: hai una percezione assoluta che la noia che ti sta divorando è la stessa che ha pervaso l’autore mentre scriveva.
No, questo no: vorrei libri belli o brutti, riusciti o meno riusciti, ma vorrei soprattutto che quelle pagine macchiate di inchiostro che tanto amiamo trasmettano qualcosa di chi le ha prodotte. Che siano il sudore della cesellatura di ogni parola o il puro divertimento letterario, quello che voglio è un canale di comunicazione fra scrittore e lettore.
E qui l’unica comunicazione è un solo, profondissimo sbadiglio.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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