© Festival Internazionale del Film di Roma

Johannes è un film-maker di successo, una sera per caso in un bar conosce Signe insegnante giovane, dolce e bella. Lui è forte, egocentrico, sicuro di sé, lei è fragile, in altalenante depressione e insicura di tutto. La differenza è notevole, ma i due si piacciono, si amano e un giorno hanno una figlia. La piccola però, inaspettatamente, viene uccisa dalla madre totalmente sopraffatta dalla malattia e Johannes dovrà scegliere a cosa credere e chi supportare.

Storia vera, incredibile, narrata come solo l’obiettivo scandinavo sa fare. Ancora una volta, quest’anno, ad un Festival del cinema ho la possibilità di vedere una pellicola diversa dalle altre. Livida nella fotografia, essenziale nelle spiegazioni, senza far leva sui sensi di colpa e sprovvista di subdoli tranelli per la nostra coscienza, quest’opera è intensa. Nessuna sentenza viene emessa se non quella di un giudice-attore che rispecchia veri atti processuali. In sala sono tutti attenti sino all’ultimo istante, poi un brusio si diffonde e nessuno lascia la stanza, tutti vogliono parlarne.

Alcuni sono stupiti che sia un fatto realmente accaduto, altri che i protagonisti (quelli veri) si siano comportati in quel modo, e altri ancora si distaccano dalla storia in sé per commentare i fatti, quelli reali, che sono all’ordine del giorno anche alle nostre latitudini ma ancora oggi vengono celati, quasi fosse un’onta ammalarsi di depressione e, soprattutto, curarla sia una inutile perdita di tempo. E poi ci sono le reazioni di chi deve convivere con degli affetti in sofferenza e deve ogni giorno prendere decisioni difficili e opinabili per poi conviverci e, soprattutto, crederci. Noi abitanti in terre lambite dal Mare Nostrum avvertiamo la distanza che ci separa da quella cultura, anche se i problemi dell’uomo emergono come universali e ciò, nella sua drammaticità, ci rasserena.

© Festival Internazionale del Film di Roma

Durante la proiezione il sospetto che vi fosse un non so che di autobiografico è sorto ad alcuni, la conferma per tutti è arrivata dalla cartella stampa. La meditazione, a quel punto, è divenuta imprescindibile e, in base alle sensibilità di ognuno, le reazioni sono state le più varie: chi l’ha definito esorcismo dei propri traumi, chi un atto di coraggio, chi è rimasto nel mezzo o fermo sulle proprie posizioni e chi ha subito il fascino  dell’amore, quello intenso e genuino.

“Sorrow & Joy” non è adatto a persone troppo sensibili, a coloro che non vivono il cinema come momento di riflessione ma solo come evasione, e non affascinerà i refrattari all’immedesimazione. Al contrario, il film piacerà a chi cerca nell’opera di finzione il mondo che lo circonda, i problemi di tutti, storie intense e realistiche. I cultori dei drammi su grande schermo impazziranno, e coloro che necessitano di un pizzico di “verità” anche su celluloide avranno molto di cui parlare :)

Alla fine la speranza pare esserci…