Recensione Ologramma per il re di Dave Eggers

Il ritorno di Dave Eggers alla narrativa profuma di Oriente. Non si tratta di effluvi speziati ma dell’odore secco e distinguibile del deserto, una distesa di sabbia su cui sta sorgendo un sogno sotto forma di città concepito da Re Abdullah con un impianto di servizi, infrastrutture e popolazione che dovrà raggiungere il milione e mezzo di unità.

Una metropoli sorta dal nulla dovrà naturalmente dotarsi di una serie di piattaforme informatiche più o meno complesse, e la Reliant, gigante dell’Information Technology, ha inviato nel Medio Oriente una sua squadra per la presentazione di un prodotto in grado di trasformare le call conference a cui siamo tutti abituati in una realtà immersiva, basata sugli ologrammi. Il protagonista, Alan Clay, è il commerciale a capo della squadra di Reliant, ed il nuovo romanzo di Eggers ne racconta sia la buzzatiana attesa dell’incontro con il Re che le esperienze passate, con una serie di efficaci flashback condotti in parte con i pensieri di Alan ed in parte con i tentativi di scrittura di una lettera alla figlia da parte dello stesso personaggio.

Alan Clay è un gran bel personaggio: è sull’orlo del baratro economico, ma quello che lo preoccupa di più è non riuscire a garantire alla figlia il mantenimento al college. Ipocondriaco, spesso drammaticamente in ritardo, separato, gran raccontatore di barzellette:

“Non essere patetico» gli disse una volta Ruby. «Sembri un attore del varietà. Nessuno racconta più barzellette come queste.»
«Io sì.»
«La gente racconta barzellette quando non ha niente da dire» osservò lei.
«La gente racconta barzellette quando non resta più niente da dire» disse lui”

E’ un uomo che ha contribuito ad affondare la storia centenaria dell’azienda presso cui lavorava, con una serie di decisioni che raccontabo molto della visione di Eggers dell’economia globalizzata in cui siamo immersi. La frase cardine:

“Maggiore efficienza senza i sindacati, eliminiamoli. Maggiore efficienza senza operai americani, punto, eliminiamo pure loro. Perché non ho visto arrivare la tempesta? Maggiore efficienza anche senza di me. Accidenti, Kit, rendemmo quella fabbrica così efficiente che diventai superfluo anch’io. Mi ero reso irrilevante.”

Il montaggio assolutamente filmico di alcuni capitoli, la capacità dell’autore di trasmettere speranze, angoscia, improvvise euforie e momenti di cupa tristezza in modo decisamente empatico trasformano l’esperienza di lettura in un vero viaggio. E Alan finisce per diventare l’esatto opposto di un ologramma: un personaggio vivo, vero, che ti accompagna e per il quale fai il tifo, divorando il romanzo facciata dopo facciata.

Consigliatissimo.


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