Lettera al cervello di Nick Hornby

Gentilissimo Cervello di Nick Hornby,

mi rendo conto di quanto possa apparire strano ricevere una lettera da un altro encefalo, ma ci tengo a presentarmi: sono la corteccia celebrale di un lettore.

La scorsa settimana ero impegnata a coordinare la camminata del mio proprietario, avendo cura di stimolarne la vivacità con le immagini che i miei migliori amichetti (gli occhi) mi passavano da elaborare. Forse perchè la giornata era stata effettivamente un po’ stancante, o più banalmente perché a volte capita di aver bisogno di riposare anche qui dentro al cranio, quasi non mi sono resa conto che stavo collaborando ad un insano proposito serale: l’ingresso in una libreria.

Forse tu non lo sai, gentile Cervello di Nick Hornby, ma ogni volta che finiamo davanti agli scaffali di una libreria il mio lavoro triplica improvvisamente, e con me quello di tutti gli altri: gli occhi (me lo hanno confessato) si devono preparare a saltellare da un titolo all’altro e dalla visione d’insieme delle pile di romanzi al particolare delle prime righe di un volume. Le mani e le braccia si seccano, perché sanno che saranno costrette a sollevare ripetutamente dei pesi o – nelle giornate più sfortunate – una cesta ricolma di libri il cui peso specifico supera quello di due casse d’acqua. Ed in questo oceano di movimenti, io sono il timoniere che cerca di evitare i marosi più preoccupanti ed il pasto agli squali, e se per caso mi spengo un istante va a finire che A. si ritrova alla cassa con un saggio sulla riproduzione dei conigli nani della Patagonia, e la colpa è sempre mia.

Ecco perché quando gli occhi mi hanno segnalato “Tutti mi danno del bastardo” ho iniziato a rilasciare endorfina a fiumi per far terminare il più velocemente possibile quella esperienza, cancellando immediatamente dalle mie sinapsi il quasi omonimo pezzo sanremese della Tatangelo.

Ecco, siccome lo abbiamo (plurale: io e gli occhi) finito proprio oggi, volevo chiederti una cortesia: puoi convincerTi a dare nuovamente alle stampe un romanzo degno di questo nome, qualcosa di 3-400 pagine con trama approfondita, personaggi meravigliosi come quelli di “Alta fedeltà” e momenti memorabili come quelli tratteggiati in “Come diventare buoni”? No, perché leggere quello che hai prodotto – con il concorso di occhi, dita e tutto il resto, lo so – è sempre un piacere, e anche queste scarse-70-pagine hanno il loro motivo di esistere. Ma è un po’ come trovarsi di fronte un piattone di melanzane alla parmigiana e poterne mangiare soltanto una cucchiaiata. Non si fa.

Ti ringrazio per quello che potrai fare,
La corteccia celebrale di A.

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