Presentato al Festival di Toronto (TIFF) qualche settimana fa, dove è stato accolto con sorrisi e parole benevole, “Anni Felici” sta infine arrivando nelle sale della cara madre patria e si presenta come un film tutto italiano e meravigliosamente godibile. Lasciati fuori dalla porta i piagnistei, l’uomo piccolo borghese, il romanzo del giovane povero e tutto ciò che normalmente contraddistingue i (melo)drammi made in Italy, il mondo ricreato da Daniele Luchetti è un’adorabile sorpresa.

Il regista è riuscito nell’arduo compito di riconciliarmi con il cinema di casa mia. Dopo il brutto colpo preso con “L’Intrepido”, che mi ha portato a fare una cosa che va contro il mio credo (lasciare la proiezione al primo accenno di titoli di coda ancora protetta dal buio), sono entrata con circospezione in sala, timorosa di vedere l’ennesima fotografia di un’Italia triste e senza speranza, invece mi sono dovuta ricredere.

Il racconto di un bambino, probabile alter ego dell’autore, che ripercorre gli anni inconsapevolmente felici di quando era fanciullo, di quando i suoi genitori erano giovani, passionali e un po’ folli, ci immerge in quegli anni ’70 che hanno fatto sentire tutti più forti e in vena di emancipazione. Attraverso gli occhi ingenui e sinceri del giovane narratore – e l’obiettivo della sua cinepresa – torniamo al 1974, andiamo a Roma, entriamo nella casa di un artista affascinato dal proprio mestiere e dagli anni che sta vivendo, ma che si sente imbrigliato da una famiglia che tanto ama quanto gli sta stretta.

Il papà e la mamma del nostro piccolo eroe assomigliano tremendamente ai nostri genitori, i pranzi dai suoi nonni ci riportano alla mente scene di feste comandate con il parentado allargato, e poche battute sono sufficienti a catalizzarci e coinvolgerci sino a sentirci al fianco di Guido (Kim Rossi Stuart), alla sua insofferenza e alla moglie Serena (Micaela Ramazzotti) con le sue apparenti insicurezze. In questo film che, con sobrietà e numerose uscite brillanti, fotografa il nostro passato, ci spolvera ricordi dimenticati e ci fa sorridere di quanto stereotipate siano le nostre esistenze, assistiamo a discussioni già sentite e a rapporti intensi e distruttivi già visti.

Questo comun denominatore ci fa sentire a nostro agio (l’uguaglianza fa davvero la forza) e, uniti da un idem sentire et velle, ci rende più semplice addentrarci in una storia tanto vera quanto frequente e dolorosa. La pellicola parla, infatti, di animi inquieti, di quel sentimento potente che è l’amore, della dipendenza da esso e dell’affrancazione del proprio io. E non so come accada ma, senza scossoni o drammoni, i protagonisti diventano sempre più grandi, acquisiscono sempre più spessore, e si trasformano in persone vere e complete che ci ammaliano facendoci quasi soffrire con loro. Peccato che non esistano…

“Anni Felici” è una dolce opera che parla di noi, è una bella storia che renderà partecipi anche coloro che non hanno vissuto quegli anni, è un racconto sereno, divertente e intelligente sulla famiglia, sui legami impossibili e sull’amore per sé stessi, e merita una chance di successo. Voto: 7, per quel modo di descrivere la vita e la gente comune quando ama e, nell’intento di essere felice, incrina il presente tingendo di grigio il proprio futuro.

Anni Felici - Trailer ufficiale