Recensione romanzo Versioni di me di Dana Spiotta

Prendete un uovo grande come tutta la Lombardia. Picchiettate e il guscio sulla cima del monte Everest per rompere il guscio e poi piazzatelo a cuocere su tutta la superficie dell’Australia utilizzandola come padella. Infine, toglietevi un capello non più lungo di tre centimetri e posizionatelo al centro dell’ovetto alla coque che vi state preparando.

Ecco, quelle sono le dimensioni del “pelo nell’uovo” che sarete costretti ad andare a cercare volendo trovare un seppur minimo difetto a “Versioni di me” di Dana Spiotta. Ed io quel pelucchio microscopico l’ho trovato nel finale, ma badate bene: si tratta di una conclusione assolutamente efficace, solo che io l’avrei desiderata un po’… uhm… diversa. Con tutta la soggettività che questo comporta, naturalmente.

Per tutto il resto, si tratta di un romanzo clamoroso. La trama ci racconta la storia di Nik e Denise, fratello e sorella dotati di caratteristiche uguali e contrarie: lei asseconda certamente alcune delle peculiarità di Nik, musicista senza successo che incide dischi per un ristretto numero di amici e parenti, inserendoli in confezioni artistiche, ma é al tempo stesso apparentemente più posata, con una maturità dettata anche dalla maternità. Ne seguiamo pagina dopo pagina la storia, che si sviluppa anche tramite le Cronache, sorta di diario-romanzo-biografia in itinere scritta da Nik immaginando una sua vita da rockstar di successo, completa di lettere di finti fan, ipotetiche recensioni sui giornali, eventi mondani da un capo all’altro della terra. Una sorta di equilibrio forzato, del tutto artificiale eppure credibilissimo, che pare infrangersi quando il fratello scompare.

Poetico di una sua poesia lieve e affascinante, emozionante come solo una buona lettura può essere, il romanzo di Dana Spiotta tocca corde profonde e le fa muovere scatenando un lunghissimo e stupefacente assolo di chitarra.

“Versioni di me” è nella ristretta lista dei migliori cinque libri che ho letto nel 2013.

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