E poi cammini tra le sale che sembrano infinite delle Gallerie d’Italia, un posto che è un tale concentrato di arte da renderti difficile da credere che l’ingresso sia gratuito e le audioguide pure. Sei lì con sguardo rapito e vorace che scorre da una tela ad una scultura, o forse stai passeggiando con gli occhi bassi mentre rifletti sull’ultima opera ti ha colpito.

All’improvviso alzi lo sguardo e… SBAM… ti trovi davanti una successione di sale che ospitano i bassorilievi del Canova.

Io mi sono inchiodato precisamente qui:

E per inchiodato intendo che ci so proprio rimasto secco, gli occhi dapprima puntati su quel gesto che campeggia al centro della scena e poi in movimento radiale a cogliere ogni altra sfumatura.
Sono tre le opere del Canova esposte in Piazza della Scala. Quella che ho incollato qui sopra è “Critone chiude gli occhi a Socrate”, scolpita verso la fine del Settecento, e su di me ha avuto l’effetto che tutte le opere d’arte dovrebbero avere: suscitare curiosità intellettuale.
Come naturale conseguenza, sono andato a ripescarmi due opere di Platone che raccontano gli ultimi giorni di Socrate. Leggerle e lanciare occhiate ad una riproduzione del bassorilievo è un esercizio quasi spirituale che consiglio a tutti.

Cominciamo con il “Critone”, concepito come dialogo fra due soli personaggi: Socrate e appunto Critone, suo discepolo. La sentenza di morte è già stata pronunciata, Il filosofo è ospite delle patrie galere e l’amico cerca di convincerlo a fuggire, utilizzando le sue conoscenze ed i denari che certamente avrebbero potuto raccogliere fra i sostenitori della sua scuola ateniese.

A dire il vero il buon Critone ha anche un momento di quasi-egoismo. Sentite un po’:

“Ma vaí, o divino Socrate, dammi retta stavolta; salvati; chè se muori tu, sarà per me la più gran disgrazia ch’io avessi mai: perchè, oltre a perdere un amico quale io non ritroverò più, la gente, quelli che non ci conoscon bene, diranno che se io aveva voglia di metter fuori danari, ti poteva campare e non l’ho fatto.”

Socrate spiega quanto poco debba preoccuparsi dell’opinione del popolino, contesta l’idea della fuga dimostrando quanto possa essere nociva per se stesso e per lo Stato (uhm, mi viene in mente qualcosa…) e conclude stringendo Critone all’angolo, fino a fargli ammettere che la sua morte è l’unica soluzione.

A me quel “oltre a perdere un amico quale io non ritroverò più” ha fatto proprio tenerezza: è messo lì quasi con delicatezza, il messaggio più forte riguarda la frase successiva e le parole sulle malelingue. Mi sa tanto di ruvida amicizia maschile, quella di due individui che non possono dirsi “Ti voglio bene” perché sarebbe imbarazzante, che magari si vedono poco ma che coltivano un filo che li unisce con forza.

Il bassorilievo è ispirato da un’altra opera di Platone, il ben più celebre “Fedone”, che racconta proprio le ultime ore di vita di Socrate. Affidiamoci nuovamente al testo:

“(…) E, detto questo, si levò per andarsi a lavare in una cella; e Critone gli tenne dietro; e noi volle che rimanessimo.”

Ancora una frase messa lì, a significare un rapporto molto più stretto che con ogni altro discepolo. E infatti:

“(…) e lo sguardo gli s’impietrò. Critone, ciò vedendo, gli chiuse la bocca e gli occhi.”

E’ un gesto a cui forse la nostra generazione non è più abituata: sembra diventata una azione da medici, infermieri o poliziotti di una serie tv, ma è un estremo e definitivo saluto molto frequente fino a pochi anni fa, quando ancora ci si spegneva in casa e non in ospedale. E il Canova sceglie quel gesto, descritto da Platone in una sola frase di dieci parole, per rendere eterno quell’istante di commozione e definitivo saluto.

Possiamo ragionare per ore ed ore sulla rilevanza artistica del Canova, od ascoltare critici senza dubbio più preparati di me raccontarci della perfezione del rilievo, delle magnifiche gradazioni di profondità e delle ombre magistralmente ricreate, ma quel senso profondo di amicizia prevaricherà sempre ogni considerazione artistica e resterà immutata nei secoli a venire.