La schiuma dei giorni” è un libro scritto dall’autore francese Boris Vian, uomo vissuto all’inizio del secolo (scorso), un vero autore geniale e visionario che ebbe una vita totalmente dominata dalle sue passioni – musica, cucina e scrittura – che sfortunatamente concluse la sua permanenza tra noi prima dei quarant’anni, ironicamente, mentre era seduto in un cinema a vedere la trasposizione su grande schermo di una sua opera durante l’oramai lontano anno 1959.

Michel Gondry, invece, è un regista francese dei nostri giorni, un uomo dall’eccentrica fantasia, famoso per aver contaminato il cinema d’autore con lo stile dei video musicali (la sua collaborazione con Björk fu illuminante per entrambi gli artisti) e acclamato dalla critica mondiale per i suoi film con trama bizzarra (Se mi lasci ti cancello ha portato a casa addirittura l’Oscar). Una produzione colorata, onirica e per molti strampalata che, alla fine, ami o odi ma non può rimanerti indifferente.

Il mese di settembre 2013 ci regala il nuovo, quarto, tentativo di trasporre “La schiuma dei giorni”: dopo il primo giro per mano francese, dopo i drammaturghi russi e i cineasti giapponesi, ci riprovano proprio in madrepatria affidandosi all’estro di Gondry. Nasce un film importante, impegnativo, difficile e non per tutti. Perché questa versione cinematografica dell’opera di Vian parte come una storia leggera, ricca di colori, divertita, divertente e curiosa, ma finisce realisticamente con una tragedia senza tempo.

Il libro dalla trama semplice, ma ricco d’immagini, metafore, critiche anche pungenti verso consumismo, conformismo, agio e povertà, oggi diventa una pellicola di due ore intense, con pixel saturi d’informazioni e di spunti riflessione e dal dialogo spesso enigmatico che affatica lo spettatore, nel tentativo di non perdere il filo della narrazione e i numerosi dettagli di ogni inquadratura.

Da un lato c’è la trama, parabola perfetta dei giorni nostri, in cui dall’oggi al domani si passa dalla ricchezza all’indigenza, dall’altro c’è il dolore dato dalla ricerca dell’amore, dalla malattia, dalla dura routine lavorativa, dalla frustrazione data dal non poter cambiare l’ineluttabile destino costellato da perdite. La favola che ci fa astrarre lentamente ci riporta alla realtà, così alla fine della serata rincasiamo pensierosi e tristi.

I dubbi da risolvere sono davvero molti: dobbiamo riavvolgere il nastro più volte per essere sicuri di aver congiunto i tasselli del puzzle correttamente; dobbiamo confrontarci con i vicini di posto per unire le forze e assicurarci di aver colto metafore, allegorie e satire, ma anche così la sensazione che sia sfuggito qualcosa non se ne va; e dobbiamo scacciare la forte sensazione che sia uno sfoggio calcolato di conoscenza per elevare questo lavoro a poesia per immagini.

L’alchimia tra autore e regista è evidente, lo sforzo di rendere visibile fantasiose pagine ricche di luoghi e oggetti curiosi pure, il cast è strabiliante al punto che i personaggi sembrano reali e ci pare di percepire le pareti muoversi all’unisono con quanto accade sullo schermo, ma l’esperienza è oltremodo impegnativa.

Se cercate la classica evasione, non la troverete. Nessun bossolo, motore o femme fatale dalle lunghe leve e per la commedia romantica, provate con la sala vicino, qui l’amore c’è ma è tanto intenso quanto infelice. Di fatto, sono richiesti massima attenzione, ottima resistenza alla sofferenza e accettazione dei propri limiti, in parole povere: preparatevi a non capire :| Se invece amate le sfide, quelle forti, allora questo è il film che stavate cercando :-)

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