Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso l’Impero Britannico era il più esteso e florido della storia, contava 500 milioni di sudditi (un quarto della popolazione mondiale) dal Canada all’Australia, colonie ricchissime di materie prima come l’India, il Kenia, il Sud Africa. Eppure la situazione della classe operaia nella piccola madrepatria non era molto differente da quella denunciata da Charles Dickens nel secolo precedente. In quei 21 anni – così poco durò la pace fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale – dominavano la disoccupazione, la miseria, le malattie.
Poi iniziò la Guerra contro la Germania nazista, e miracolosamente la Gran Bretagna si trasformò in un’inarrestabile fucina produttiva, con gli uomini al fronte e le donne a sostituirli nei campi e nelle fabbriche. Al ritorno i reduci trovarono un Paese alla fame, letteralmente distrutto dai bombardamenti, città e infrastrutture interamente da ricostruire. Con un manifesto basato su una maggiore giustizia sociale vinse le elezioni del 1945 il Partito Laburista; il nuovo Governo, puntando alla piena occupazione (nel 1952 il tasso di disoccupazione era inferiore al 2%), procedette nell’arco di soli 5 anni ad una serie di importanti nazionalizzazioni – acqua, elettricità, trasporti, gas e carbone – e alla ricostruzione. E insieme alle macerie della guerra vennero spazzati via interi quartieri fatiscenti, sostituiti da nuove linde e solide casette destinate alla classe operaia.
Fra i principali collaboratori del premier Clement Attlee spicca l’affascinante figura di Aneurin Bevan, venerato Ministro della Sanità dal 1945 al ’51: gallese, ex-minatore autodidatta, sindacalista prima di essere eletto al Parlamento, impose a forza la nazionalizzazione degli ospedali ed istituì nel 1946 il Servizio Sanitario Nazionale. Combattivo e impavido sognatore, si dimise quando il Governo decise di far pagare ai pazienti un ticket su occhiali e dentiere.
Nel giro di pochi anni però la raggiunta piena occupazione divenne un insostenibile lusso; i governi di Margaret Thatcher fra il 1979 e il 1990 smantellarono definitivamente lo Stato Sociale, ri-privatizzarono sanità, energia e trasporti, distruggendo minuziosamente, quasi con puntigliosa acredine, tutte le positive riforme del dopoguerra, nate sotto l’impulso dello “spirito del ’45”.
Tutto questo è narrato dal regista Ken Loach attraverso un accurato montaggio di spezzoni di documentari d’epoca (alcuni in ottimo, altri purtroppo pessimo stato) tratti dagli immensi archivi della Bbc; ma soprattutto attraverso le testimonianze di una ventina di irriducibili ottuagenari, preziosi testimoni e tutt’ora caparbi sostenitori di quello “spirito del ’45” che rimise in piedi in una manciata di anni la Gran Bretagna stremata dalla guerra. Medici e minatori, sindacalisti e ferrovieri condividono con coraggio e lucidità la memoria dolorosa di fratellini morti di tubercolosi e di colleghi travolti dai crolli in miniera. E con affettuosa tenerezza il ricordo di settantenni inebriati dal loro primo paio di occhiali, che fino ad allora non si erano potuti permettere; e l’inesprimibile felicità di madri sfinite di 10 figli che entravano per la prima volta in una casa con bagno interno, acqua corrente e giardino; e l’ingenua gioia per i primi cioccolatini, razionati fino al 1954. E soprattutto la fierezza – the proud, ripetuto più e più volte – di aver partecipato alla ricostruzione del loro Paese.
Di tutto questo ogni memoria sembra scomparsa, le avvilite giovani generazioni paiono non rendersi conto di quanto riuscirono a fare i loro nonni in condizioni ben peggiori di quelle attuali. Da qui l’idea di realizzare questo documentario, non come una commemorazione ma come stimolo e spunto importante di riflessione.
E veniamo qui alle dolenti note: siamo di fronte ad un’opera encomiabile, ma che purtroppo ha intollerabili difetti per quanto riguarda la distribuzione internazionale. Pur ritenendomi una persona di buona cultura, per di più interessata alla storia, gli unici nomi che ho saputo riconoscere in tutti i 94 minuti del film sono stati quelli di Winston Churchill e di Margareth Thatcher (e vorrei vedere!). Per il resto si tratta di una storia “for British only”, con continue citazioni di uomini politici e industriali, capi del sindacato e proprietari di miniere, capitalisti e riformatori, di cui fuori dalla Gran Bretagna non si sa praticamente nulla, a meno di avere 80 anni o un interesse molto specifico verso l’argomento e il periodo storico.
Per quanto di visione faticosa (tutto in un bianco e nero spesso di scarsa qualità, in inglese sovente dialettale, ma per una volta con buoni sottotitoli), sicuramente è un documentario interessante, ma somiglia molto ad una puntata doppia della meritevole serie LA STORIA SIAMO NOI di Giovanni Minoli, in onda per decenni su Rai3 ed ora disponibile online sul sito http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/. Non è niente di meno, ma nemmeno niente di più.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.