Film Il mondo di Arthur Newman: storie di anime alla deriva

Colin Firth torna a interpretare l’uomo qualunque, l’uomo combattuto, l’uomo annientato da un’esistenza che non è quella che aveva sognato, l’uomo che sopravvive. Colin Firth oggi veste i panni di Wallance Avery, un uomo così afflitto dall’insoddisfazione da decidere di inscenare la propria scomparsa. Pur di rinascere, si compra una nuova identità (quella di Arthur Newman, appunto) e si crea quella seconda opportunità a cui tutti hanno diritto nella vita, ma alla fine si rende conto di saper essere solo Wallance Avery, capo reparto della Fed Ex, in conflitto con un figlio adolescente e con al fianco una fidanzata insipida.

Il percorso di riscoperta interiore non sarà però semplice e includerà un vero viaggio verso l’Indiana in compagnia di una giovane, bella e misteriosa donna incontrata fuori dalla stanza d’albergo la notte della fuga. Michela (Emily Blunt) è come Arthur, ha preso un nome in prestito per non fare i conti con i propri problemi e insieme i due impareranno a conoscersi, si piaceranno e si lasceranno una volta cresciuti e divenuti coscienti.

Dietro la macchina da presa di quest’opera romantica, drammatica e disarmante per quanto comune, non c’è qualche cineasta bohèmien bensì Dante Vincent Ariola, talentuoso regista pubblicitario che qui si cimenta con una storia non semplice, pretendendo che un copione di oltre 20 anni e un cast di ottimi attori riescano da soli a fare miracoli. Purtroppo non è così e assistiamo a un film con una fotografia dominata da toni sbiaditi quanto le vite dei protagonisti, e con un ritmo pressoché nullo.

“Il mondo di Arthur Newman” poteva essere una scoppiettante commedia irriverente dal fraseggio sarcastico, invece raggiunge al massimo due fiacche battute al minuto; con un’idea così originale e potente; si poteva propendere, in alternativa, per una dramedy acida e desolante, invece si è deciso di rimanere dentro i confini dello stereotipo; ma soprattutto “Il Mondo di Arthur Newman” poteva essere un doloroso film drammatico che scavava nella solitudine, nell’insoddisfazione e nella tristezza dei tutti noi, invece il povero Colin Firth si limita a rispolverare qua e la, senza troppa convinzione, il George di “A single Man”.

Il risultato è un film che non colpisce nel segno, non intriga lo spettatore e, anzi, a tratti potrebbe assopire i più esausti presenti in sala. Voto finale: 5 ½ . Avrebbe meritato anche meno, ma Firth è ineccepibile, la Blunt rende Michela una credibile sbandata dei nostri tempi e tutti fanno bene il proprio ruolo. Il polso del regista invece ci piace credere abbia bisogno di rafforzarsi ancora un po’ così da dimenticare i colleghi e da trovare un suo stile nel narrare le storie.

Una volta ancora, fare bene il proprio lavoro non lo rende automaticamente memorabile anzi, soprattutto in questo caso, il film è annoverabile tra quelli che facilmente scivoleranno nell’oblio.

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