Mi hanno sempre affascinato le catalogazioni. Una di quelle passioni che ti prende per cose che non sei in grado di realizzare, e che studi con una certa curiosità intellettuale e una buona dose di invidia. Per dire, il sistema di catalogazione dei libri si basa sugli studi di un illustre italiano chiamato a dirigere la biblioteca del British Museum, Antonio Panizzi. Un personaggio su cui varrà la pena ritornare, prima o poi. In poche parole, uno che si ritrova con la necessità di rendere ritrovabili, fruibili ai visitatori e immediatamente reperibili i volumi di una delle collezioni più gigantesche della sua epoca, il tutto senza Access o senza una App che possa dare una mano…

Ne vien fuori una sorta di codice che traduce il libro “The Lancashire cotton industry” in 338.4767721094276, dove il 3 iniziale indica i testi di economia e società, la sua declinazione in 33 iniziale la specializzazione economica, il 338 l’appartenenza alla sezione industriale, e così via. Poco poetico, mi rendo conto – non che la storia dell’industria tessile inglese sia venata di passionalità – ma, lo ammeterete anche voi, molto pratico.

Ecco, questi tentativi di mettere un minimo di ordine nel Caos generale mi affascinano potentemente. Dell’intero programma scientifico del liceo credo di avere memoria della sola nomenclatura zoologica di Linneo: come non restare affascinati da un tizio che cercava di attribuire un nome a tutte le specie animali e vegetali? Come resistere dall’immaginarlo con un retino in mano a caccia di una farfalla da denominare Ornithoptera alexandrae, oppure inseguito da un puma urlando non le comprensibili sconcezze in svedese ma la domanda “E adesso ti piazzo fra le Quadrupedia Tigris Tigris o fra le Quadrupedia Felis Lynx?”

carlo linneo linneus

Linneo, Linneo, mi hai salvato tu al liceo

Più tardi, rimasi rapito dalla “Facoltà di irrilevanza Comparata”, sorta di percorso universitario immaginario narrata da Umberto Eco nel suo “Il pendolo di Foucault” (capolavoro assoluto!). Il corso di studi si sviluppava su scienze quali l’Oceanografia tibetana (inserita nel dipartimento di Ossimorica), la Storia dell’Agricoltura Antartica (presente nel settore Impossibilia) o la Avuncologratulazione Meccanica, materia che insegna a costruire macchine per salutare la zia. Fanno tutte ridere, ma rispondono filosoficamente e con evidente ironia alla necessità di catalogazione del sapere umano, un compito che fa tremare le vene dei polsi.

Perché scrivo tutto ciò? Perché stamattina mi sono scontrato con il sistema di catalogazione della Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Senza perdersi in inutili tecnicismi, funziona così: se compri un bene all’estero, devi calcolare quanto ti costerà sdoganarlo, altrimenti finisce che acquistandolo dal rigattiere sotto casa avresti risparmiato un po’ di soldini per te e un po’ di impatto ambientale all’intero pianeta Terra. La (pomposamente definita) “Tariffa doganale d’uso integrata” è espressa con una percentuale sul valore del bene ottenuta incrociando il tipo di materiale acquistato e il paese di provenienza. Sembra complesso ed in effetti lo è, anche perchè il costo d’acquisto finale comprende l’IVA calcolata sulla somma valore-dazio che – si noti bene – era già una percentuale del prezzo: la più classica delle “tasse sulle tasse”, uno di quei capolavori fiscali che ci hanno resi noti in tutto il globo come i più creativi anche in campo finanziario.

Torniamo al punto: per conoscere la percentuale, devo trovare il bene che sto acquistando nelle tabelle doganali. E qui inizia il divertimento: se ho avuto la brillante idea di acquistare un portatile negli States, dovrò applicare la percentuale del gruppo “84713000/00”, e cioè “Macchine automatiche per l’elaborazione dell’informazione, portatili, di peso inferiore o uguale a 10 kg, che comportano almeno una unità centrale di elaborazione, una tastiera e uno schermo”.

Vi rendete conto di quanto possa costare in termini umani la necessità – endemica, non se ne può farne a meno – di prevedere tutte le tipologie di acquisto su scala internazionale?

Il codice doganale 01061200/00

C’è da perderci una nottata, immaginando di:

i) acquistare una balena (codice 01061200/00 – “Balene, delfini e marsovini (mammiferi dell’ordine dei cetacei); lamantini e dugonghi (mammiferi dell’ordine dei sireni); foche, leoni marini e trichechi (mammiferi del sottordine dei pinnipedi”). Varrebbe la pena acquisirla In Giamaica (non sono previsti dazi), se non fosse che il paese caraibico è noto per altri tipi di esportazione. La necessità di presentare il certificato C640 (“Documento veterinario comune di entrata (DVCE), conforme alle disposizioni del regolamento (EC) No 585/2004, utilizzato per i controlli veterinari degli animali vivi”) probabilmente vi scoraggerà, sempre che non abbiate il Capitano Achab fra i vostri amici di Facebook;

ii) importare “bare contenenti i corpi, urne funerarie contenenti le ceneri di defunti e oggetti di ornamento funebre” (codice 99190000/00). Non è fortunatamente necessario alcun certificato (ottenere la firma del defunto sarebbe stato quantomeno complicato);

iii) il codice 6602 accomuna “fruste, frustini e simili” (sono andato a guardarmi il dazio dal Sol Levante, notoriamente dedito a tali pratiche: siamo intorno al 4%) a “bastoni e bastoni-sedile”. Giuro. Sono andato a cercarmi i bastoni-sedile, di cui non sospettavo l’esistenza. Sono meravigliosi e geniali.

Come per la voce “varie ed eventuali” nelle convocazioni delle riunioni di condominio, la categoria “Altri lavori” è spassosa per precisione chirurgica: prevede un codice distinto per le “matite” e le “matite da toletta”, distingue tra “accendini da tasca ricaricabili”, “accendini da tasca non ricaricabili” e “altri accendini” (tra questi ultimi immagino vada inserita la pietra focaia degli scout), differenzia “Pannolini per bebè fatti a maglia” (?!!) da altre tipologie.

Quando ero piccolo sognavo di lavorare con il tizio che decide che colore dare a un paese sul mappamondo. Ora sono certo di voler fare il catalogatore della dogana.