Ci sono film che necessitano di meditazione, “Starbuck” è uno di questi. Esci dal cinema e non sai se ti sia piaciuto oppure se a breve prenderai una roncola e lo demolirai o, peggio, se trascorso qualche giorno non ricorderai più il 90% dei fotogrammi e verserai in uno stato di titubanza, domandandoti se hai contratto una rara forma di perdita della memoria a breve termine oppure se il film visto fosse così insipido da venir presto rimosso dal tuo inconscio per lasciare lo spazio a qualcosa di più intrigante.
Più i giorni passano e più si radica in me il dubbio che “Starbuck” non fosse pellicola nelle mie corde oppure che sia divenuta una vera insensibile polimorfa e ora vi spiego il perché :)
“Starbuck” è una commedia leggera ma non frivola (!) che ruota intorno a David Wozniak (Patrick Huard), un uomo apparentemente maldestro e un po’ sbandato, ma dal cuore grande e con un passato da donatore di… sperma! Ovviamente, una volta condivisa questa informazione con lo spettatore, ci si attende che entro pochi minuti prendano il via una serie di situazioni paradossali che discendano da erronei scambi di seme o simili buffe situazioni. La sceneggiatura scritta dal regista Ken Scott e da Martin Petit riesce addirittura a fare di meglio: agganciandosi a un fatto accaduto tempo fa, sviluppa una storia divertente che, al contempo, fa riflettere sui quarantenni del nuovo millennio.
Perché il nostro David all’improvviso si trova a un bivio: deve scegliere se affrontare un numero esorbitante di giovani, che vogliono conoscere il loro padre biologico proprio nel momento in cui lui decide di mettere la testa a posto, oppure se proseguire la sua esistenza fingendo di non sapere quale tiro mancino gli abbia fatto il banco del seme.
Impossibile che manchino siparietti divertenti con i familiari, ignari dell’hobby giovanile di David; con i giovani ragazzi, ignari di chi sia realmente il loro nuovo amico; e con l’attuale compagna Valerie, ignara di portare in grembo non proprio il primo erede del fidanzato. Non c’è che dire, la narrazione scorre e mai scivola nel becero o, all’opposto, nel deprimente: nessuna volgarità e nessuna riflessione noiosa e prolissa sulle debolezze del maschio di oggi, sulla naturale evoluzione del suo ruolo o sul suo ego vacillante dovendo confrontarsi spesso con figure femminili sempre più affermate e indipendenti.
Nonostante tutte le belle premesse e la dignitosa confezione, forse proprio perché sono donna (quindi non toccata su un nervo scoperto), non riesco a ricordare alcun passaggio memorabile, la pellicola sta sbiadendo molto (troppo!) celermente e sono ogni giorno più curiosa di confrontare questa versione con il remake a stelle e strisce che pare già in fase avanzata.
Voto finale di sufficienza raggiunta: la storia è originale, scorre e si basa su alcune situazioni reali. Il punteggio non decolla perché manca l’approfondimento dei personaggi (col risultato che non riusciamo a simpatizzare o affezionarci a nessuno) e alcuni pilastri su cui poggia la trama sono troppo improbabili.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”