Locarno 2013 – Concorso Internazionale: recensione film Gare du Nord

© Festival del film Locarno

“Gare du Nord” di Claire Simon arriva al Concorso Internazionale del 66 Festival di Locarno. La regista ci porta a Parigi nei corridoi della vera Gare du Nord per farci conoscere i quattro personaggi della sua storia, che in apertura ci aveva irrigidito con uno shooting da ennesimo finto documentario. Invece no, seguiamo i quattro mentre transitano nell’enorme stazione francese sino a quando le loro esistenze si incroceranno e toccheranno.

Ismael e Mathilde sono i primi a chiacchierare e conoscersi, lui intervista i passanti per la tesi del dottorato di ricerca, lei invece insegna storia alla Sorbona ed è in transito pressoché quotidiano per lo scambio ferroviario. Una parola, un caffè, qualche consiglio e alla fine si innamorano nonostante le loro differenze e segreti. Poi ci sono Sacha e Joan, il primo alla ricerca della giovane figlia scomparsa la seconda in costante pendolarismo tra diverse città a discapito della famiglia e della propria felicità.

© Festival del film Locarno

La stazione, luogo dove solitamente ci si sfiora senza socializzare o prestare attenzione all’altro, diverrà invece per queste persone un punto particolare e di incontro, occasione inattesa per cambiare qualcosa nelle proprie routine. Crocevia di storie, di vite e di persone di ogni dove, interessante punto di osservazione e ottima occasione per fotografare una società, la Gare du Nord è un microcosmo come spesso accade nei grandi centri e la regista decide di convivere qualche scorcio con noi.

“Gare du Nord” parte così, in modo bizzarro e intrigante, complice quella sua luce calda, dorata, che avvolge e protegge i protagonisti e cattura lo spettatore sempre più curioso di scoprire cosa sia in grado di fare quel luogo alle vite di queste quattro persone tanto simili a molti di noi. Mi rilasso perchè il film appare solido e curioso, ma proprio a quel punto qualcosa accade e l’incantesimo si spezza: la storia rallenta, i dialoghi perdono di fascino e si rimane in attesa di qualcosa, di una evoluzione, che tarda ad arrivare.

© Festival del film Locarno

Tutti tornano tristi, persi, annientati perchè la realtà ha preso il sopravvento, la solitudine ha ritrovato la via di casa e la cosa diviene contagiosa, perchè colpisce anche noi al di qua dello schermo. L’impressione che si diffonde nel buio della sala è che primo e secondo tempo siano stati girati in momenti differenti con intenti diversi e che siano stati messi insieme senza sufficiente tempo per meditare sul montaggio, col risultato che sono rimasti slegati.

Voto 5 e 1/2. Sufficienza all’orizzonte per premiare i primi 45 minuti che riescono da soli a bilanciare le debolezze che seguono. Tutto, infatti, rimane sospeso e alla fine ci rendiamo conto di aver visto immagini senza una vera storia.

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