A Spell to Ward Off the Darkness ė uno di quei film che se visti alla mattina possono essere letali, anche se si ė ancora nelle prime giornate di Festival. In regia ci sono Ben Russell e Ben Rivers, apprezzato duo registico, non sufficiente a salvare un’opera che dopo la prima mezz’ora ti provoca una crisi di sonno senza possibilità di salvezza, perché brancoli nel buio e non stai comprendendo cosa stia capitando intorno a te.
Pochi i dialoghi e le spiegazioni, solo immagini a cavallo tra il documentario e la finta fiction che mostrano la quotidianità di una comunità pseudo-hippie, persa in quella che pare una delle tante zone incontaminate del nord Europa, in cui tutto scorre con normalità e nessuno pare curarsi della presenza di una telecamera. E solo con lo scoccare della prima ora infine si comprende chi sia il protagonista: un uomo silente e metidabondo, che si isola e alterna la sua quotidianità tra letture e pesca prima di intraprendere un nuovo percorso.
Neppure le inquadrature aiutano a catturare l’attenzione dello spettatore sempre più provato dall’esperienza: solita camera a mano (per mia fortuna, neppure troppo tremula), nessuna dominante cromatica, noiose inquadrature prolisse su animaletti vari, pioggia, muschi e licheni, senza una spiegazione che le renda poco enigmatiche, e vi è la più totale assenza di ecletticità e di una colonna sonora che rimanga impressa nella nostra memoria. Solo stralci di vita, “perle” di saggezza non richieste e molti dubbi tra i quali se i registi fossero interessati a fare proselitismo, piacere agli altri o ricevere un consenso, perché l’impressione è che siano su un altro pianeta.
Insomma, “A Spell to Ward Off the Darkness” se fosse un documentario non sarebbe per nulla intrigante; se fosse una docu-fiction sarebbe noiosa; e qualora fosse un lungometraggio parrebbe inutile per quel messaggio talmente flebile da non venir percepito dai più. Perché un signore che per dieci minuti rimane immobile su una barca, probabilmente non interessa neppure al più sfegatato amante della solitudine, della meditazione e/o della natura incontaminata. Col risultato che tutto torna solo dopo aver letto con estrema curiosità le note di regia che, seppur illuminanti, non sono sufficienti a promuovere questo lavoro.
Bocciato senza possibilità di salvezza: sempre favorevoli alla video-arte, alla contaminazione dei generi, alla sperimentazione ma se siamo a un festival del film, pretendiamo una pellicola con una trama oppure un documentario super-intrigante o, ancora, un’opera che sia dirompente e in ogni caso un lavoro solido come pochi altri in circolazione. Insomma, vogliamo gridare al genio, mentre qui si vuole solo scappare!
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”