Recensione di Wolverine – L’immortale: il nuovo film con Hugh Jackman

Wolverine è tra i personaggi più amati della fortunata serie a fumetti di casa Marvel, gli X-Men. Nel 2013 siamo oramai arrivati a ben sei trasposizioni cinematografiche delle avventure dei ragazzi speciali illustrati da Frank Miller. In questo sequel di “X-Men le origini”, e in attesa del prossimo film corale, annunciato per fine anno, seguiamo il nostro eroe mentre reticente torna in Giappone a dare l’ultimo saluto a una vecchia conoscenza.

Noto anche come Logan, ma all’anagrafe registrato come James Howlett, Wolverine è un soggetto rabbioso, solitario e violento che, una volta arrivato nella terra del Sol Levante  andrà in crisi: l’amico di un tempo gli proporrà di tornare a essere un comune mortale così da ritrovare la pace interiore e porre fine a una vita divenuta logorante. E lui, oramai ridotto ad anima errabonda, a questo punto vacillerà, ma infine guarderà in faccia la realtà.

Circondato da spade, antiche tradizioni e da corruzione, tra complotti e oscure presenze, Logan (ri)assaggerà la mortalità e non sarà più tanto sicuro di volerla indietro. Vero viaggio interiore, capitolo quasi drammatico della storia, episodio romantico che ci porta sino al lontano Oriente per giungere alla tanto agognata consapevolezza di sé. Le domande troveranno una risposta e l’uomo-mutante diventerà ancora più forte.

Questo è il cuore de “L’immortale”, pellicola lunga due abbondanti ore, in cui Hugh Jackman, come il suo personaggio, porta tutto sulle sue spalle, nonostante il cast sia composto da stelle (affermate e nascenti) del firmamento cinematografico nipponico. Se, infatti, la storia su carta fa faville, non accade altrettanto su grande schermo. Intendiamoci, la confezione è di lusso, il nostro attore è scolpito, perfettamente a suo agio con gli affilatissimi artigli di adamantio e conosce il suo alter ego nelle più intime sfaccettature ma molte cose non ci convincono.

In primis c’è un 3D che, a differenza del recente “Pacific Rim”, qui è solo un inutile stress per il setto nasale di chi porta gli occhiali da vista. Poi c’è il povero attore australiano che si ritrova a fare un esagerato one man show di cui si percepisce ogni minuto e, all’avvicinarsi della seconda ora, stanca lo spettatore. Da ultimo c’è la sceneggiatura, con molti dialoghi deboli e scontati, che ci auguriamo sia più effervescente in lingua originale perché della versione italiana si ricorderanno solo le battute farcite di parolacce.  E, volendo essere pignoli, la contaminazione samurai, stride: questo non sarà mai un magico wuxiapian e non vogliamo neppure lo diventi!

La sensazione è stata di essere di fronte non a uno dei capitoli più intriganti e appassionanti della serie di pellicole bensì ad un melodramma, poco avventuroso e privo di colpi di scena. Insomma, questo “Wolverine” è la versione sbiadita degli X-Men che tutti ricordiamo e amiamo.
Voto: 6–. Sufficienza all’orizzonte in segno di rispetto verso i precedenti episodi, per l’evidente impegno di tutti e per l’attenzione ai dettagli.

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