Recensione FILM Passioni e Desideri: Girotondo secondo Meirelles

Oggi parliamo di passioni e desideri, di amore, di decisioni sentimentali e seguiamo le loro conseguenze mentre fanno il giro del mondo. Oggi parliamo di un film dalla sceneggiatura ambiziosa, di una storia che parte da Vienna e prima di tornarci passa per Denver e il Sud America, un vero viaggio per il pianeta insieme ad una manciata di personaggi legati da un fil rouge molto particolare: il desiderio dell’altro, l’istinto animale, l’attrazione sessuale.

Non è un film osé, nè una telenovela per casalinghe disperate, ma il tentativo di parlare d’amore in modo diverso partendo da un’opera nata per il pubblico di un teatro. “Passioni e Desideri” si rifà a “Der Reigen” (“Girotondo” in italiano) del drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler, pièce che nonostante abbia secolo sulle spalle, è così moderna da sembrare la lucida fotografia dell’amore nel XXI° secolo, un sentimento che mette in difficoltà l’uomo e supera ogni barriera e confine.

Il nostro viaggio nei sentimenti spesso ingarbugliati, negli amori talvolta disastrosi, nelle opportunità che appaiono sfumate si apre proprio in Austria, dove incontriamo una neo-prostituta e il suo primo ipotetico cliente Michael Daly (Jude Law), un uomo che deve prendere una decisione a cui seguiranno molte conseguenze che rimbalzeranno con estrema fluidità nei quattro continenti. E questo viaggio, in origine triste e critico, qui dolcemente da spazio alla speranza che esista sempre e per tutti la seconda chance, occasione di dimostrare il cambiamento/ il miglioramento a sé e agli altri.

La globale solitudine, la necessità dell’uomo di ottenere attenzioni e amore a prescindere da età, condizione e latitudine, e la realizzazione che gli istinti siano uguali in ogni cultura e vengano espressi in egual modo in tutte le lingue, sono concetti che normalmente fanno breccia nel cuore del pubblico e lo inducono ad una facile immedesimazione. In questo campionario l’uomo qualunque dovrebbe, infatti, essere in grado di ritrovare subito un po’ di sè stesso per poi rinfrancarsi realizzando che vi sia sempre speranza, ma qui non è così.

Per portare in scena la vita dolce e amara e per assicurare a noi un viaggio confortevole, è stato chiamato un cast dall’innata bravura in ruoli drammatici, del calibro di Anthony Hopkins e Rachel Weisz, e la direzione è stata affidata al premiatissimo Fernando Meirelles, regista “The Constant Gardener”. Ma, nonostante l’esubero di talenti, l’intrigante soggetto e la fluidità della narrazione, il film risulta lento e senza guizzi con un finale che non sorprende, non fa riflettere e induce molti a distrarsi. Il giro del mondo c’è, ma è un girotondo debole e insipido dal quale l’unica cosa che emerge è dove tutti avrebbero voluto andare e non sono riusciti ad arrivare.

Voto finale: 6 –. Nonostante non sia un supplizio e si lasci vedere, non rimane nel cuore, cosa che ogni pellicola nel bene e nel male dovrebbe fare.

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