Marcos y Marcos raramente delude i suoi lettori, e nel corso degli anni ho imparato ad osservare con occhio attento le uscite editoriali contraddistinte da copertine semplici e sempre azzeccate.
“Quello che non c’è scritto”, thriller decisamente psicologico dello spagnolo Rafael Reig, non interrompe questa tradizione, a partire proprio dalla immagine di presentazione, capace di rappresentare evocativamente il motivo dominante della trama ed i tre personaggi in essa coinvolti.
Jorge, quattordici anni, e il personaggio ritratto dalla copertina al centro, conteso fra i suoi genitori: la madre Carmen ha condotto una battaglia campale dopo il divorzio ed ha trionfato sull’ex marito Carlos. Un esempio perfetto di quelle separazioni in cui prevale l’astio verso l’amore finito ed in cui l’odio verso il coniuge spinge a dimenticare del tutto quello che dovrebbe essere il punto cardinale: la felicità del proprio figlio.
Terminata questa fase di guerra affettiva, posate le armi e terminate le azioni dei legali, tra Carmen e Carlos si è aperto un dialogo e l’adolescente ha così modo di passare due weekend al mese con il padre. Un padre temuto, in fondo quasi sconosciuto, che ha una compagna e che Jorge vorrebbe impressionare positivamente, senza averne la forza.
In uno di questi fine settimana padre e figlio si dirigono fuori Madrid per una gita a contatto con la natura; prima di salutarla, Carlos lascia all’ex moglie – o, meglio, abbandona in casa – un suo manoscritto. E’ un romanzo crudo, di tinte davvero fosche, persino violento in molte delle sue pagine, e la lettura di queste pagine si alterna nella trama alle vicende dei due campeggiatori. La preoccupazione della madre, annichilita da una lettura che si fa via via più nera, diventa il tema dominante di un romanzo che fa chiudere la gola: il trucco narrativo – non particolarmente originale, va detto – del “libro dentro il libro” funziona, ed il lettore è sospeso fra la solidarietà verso Carmen, che appare protagonista più complessa e dettagliata nei tratti, e la discesa verso un finale che non può essere scontato.
“Quello che non c’è scritto” riesce così ad incollare alle sue pagine, pervadendo il lettore di una inquietudine profonda. Un merito certo per un romanzo che apre una nuova strada nel thriller spagnolo, certamente venato di originalità.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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