All’inizio c’è il titolo, una frase davvero intrigante che solletica la curiosità anche dei più refrattari a stimoli esterni; poi c’è quella locandina che gronda sangue in grado di portare in sala l’amante nel noir, quello del thriller più spinto, ma anche chi apprezza l’horror; e, come se non bastasse, c’è un nome davvero unico che atterrerebbe l’attenzione di chiunque: Giancarlo Giannini.

La voce di molte stelle di Hollywood, nonché l’attore che ha lavorato con tutti i registi che hanno fatto la storia del cinema italiano, ha fatto un film: “Ti ho cercata in tutti i necrologi”, pellicola che segna il ritorno dell’istrionico attore, doppiatore e produttore dietro la macchina da presa dopo 25 anni.

Giancarlo Giannini si è tolto la soddisfazione di fare un film, come dice lui, senza grandi compromessi, un vero divertissement che mescola generi, luoghi e paure senza alcun timore o ricerca di approvazione.

Un po‘ come Nikita, il suo personaggio, anche il regista è arrivato a un’età non più giovanissima, che però offre il raro vantaggio di permettergli di scegliere quel che vuole fare e di vivere la vita a pieno. Nel fare ciò ha deciso di portare su grande schermo una sceneggiatura davvero particolare, potenzialmente perfetta per mescolare noir, melodramma, filosofia e raccogliere i consensi da più parti.

Questa è la storia di Nikita, immigrato italiano in Canada, autista di carri funebri, che ama la bella vita, le belle donne e le belle automobili, ma purtroppo anche il gioco d’azzardo e ’alzare il gomito. Il risultato è che una sera si trova ad una partita dal piatto troppo pesante, che si chiuderà con l’estinzione dei propri debiti in modo oltremodo bizzarro.

Mettersi alla prova è uno degli istinti dell’uomo e cacciarsi in un guaio grosso quanto un palazzo per compiacere il proprio ego e sentirsi superuomini, pure, ma quello che lentamente emergerà durante la narrazione è come da un gesto assolutamente folle ne scaturirà una vera e propria emancipazione: Nikita infine conoscerà la vita e deciderà se e come continuarla.

Non c’è che dire, la trama ha tutti i presupposti per incollarci alla poltrona, ma le cose non funzionano del tutto. Forse il doppiaggio non ha reso giustizia ad alcuni (si, lo so, suona ironico difronte a un tale mostro sacro, ma il film è stato recitato in inglese e Giannini non è  l’unico a comparire sullo schermo), forse è l’ecletticità del suo autore, regista e primo attore, che ci porta a pretendere che sia eccezionale anche dietro la macchina da presa, fatto sta che, nonostante le migliori intenzioni, dopo la prima mezzora lo spettatore tende a distrarsi. E temo che l’abbia percepito anche lo stesso Giannini che in conferenza stampa (un travolgente, istruttivo e inatteso one man show) ha notato come stesse, di fatto, spiegandoci ogni segno, simbolo e citazione della pellicola.

Non rimane a questo punto che un suggerimento: come ci ha ricordato l’autore, è meglio prendere l’opera per quello che è, è solo un film, è cinema, dove tutto è possibile, unico luogo dove ci si deve sempre divertire, si può esplorare e si possono creare storie che nella vita reale difficilmente accadranno.

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