L’inizio è fulminante: in un campo incolto, fra le rovine di edifici mai finiti, come in un prologo shakespeariano King, un pugile-rapper, racconta la storia dei suoi tre figli, di quanto sia fiero di loro e di come rimpianga, essendo ormai defunto, di non potergli stare vicino. Il fantasma del padre cucirà poi tutti gli episodi della storia. Siamo a Wassakara, uno dei più derelitti quartieri di Abidjan. Tony si sente segnato da una profonda ingiustizia: alla morte del padre sua madre lo tolse dalla scuola per favorire il fratello maggiore Mike. Vende sigarette nel ghetto, ma sente in sé l’anima del leader e pretende di essere chiamato col nome tradizionale di Dagabaou. Purtroppo è anche un giocatore d’azzardo sfortunato, e questo lo porta su una brutta china.
Ange è poco più di una ragazzina; si sente presa in mezzo fra i due fratelli: da un lato condivide la rabbia di Tony, ma è anche consapevole degli sforzi che Mike fa per aiutarli. Rifiuta il lavoro di parrucchiera che lui le ha trovato senza chiedere il suo parere e inizia a prostituirsi. Mike è ispettore di polizia. Fedele alla parola data alla madre, ormai morta anche lei, si prende cura come può dei fratelli minori. E’ un uomo solitario e poco comunicativo, e soffre di non essere apprezzato per i suoi sforzi. Senza volerlo, Ange conduce suo fratello Tony al crimine. Deruba un cliente, questi giorni dopo la riconosce e la aggredisce: per difenderla Tony lo accoltella. Mike partecipa ad una retata nel ghetto: un informatore gli ha detto che il colpevole è un certo Dagabaou. La tragedia finale è inevitabile.
Recitato in nouchi, lo slang della Costa d’Avorio (un misto di francese e vari dialetti del Paese, con qualche parola in inglese e spagnolo) è stato girato in 11 giorni nel 2009, poco prima dello scoppio della guerra civile. Molte scene sono frutto di improvvisazione e nel cast sono presenti molti non-professionisti della recitazione, abitanti del quartiere e alcuni noti rapper ivoriani amici del regista. Potentemente realistico, a tratti quasi un documentario, ha una trama semplice ma solida, direi classica, e l’immediatezza di chi conosce molto bene l’argomento e i luoghi di cui parla. Anche per l’utilizzo della macchina a mano e dei molti primi e primissimi piani, il risultato è forte e crudo; inevitabilmente un po’ acerbo, ma sincero e appassionato.
Non è facile fare film in Costa d’Avorio, dove ormai quasi tutti i cinema sono stati trasformati in chiese evangeliche – senza nemmeno smontare lo schermo, semplicemente ci appendono sopra una croce. E’ perciò quasi eroico il produttore Philippe Lacôte, parigino cresciuto in Costa d’Avorio, che nel 2003 ha fondato la Wassakara Productions e, senza alcun supporto locale di scuole o istituzioni, sta quasi dal nulla allevando una giovane generazione di attori e registi.
Un ampio estratto proposto dalla produzione lo trovate qui.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
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