La pioggia è da sempre metafora di tristezza, lacrime, dolore e anche in questo film non fa eccezione: “Sta –infatti – per piovere” nella vita di Said, giovane nato in Italia da genitori immigrati dall’Algeria alla ricerca di una vita migliore per sé e un luogo sicuro in cui crescere i propri figli. E così è stato sino ad oggi, quando, complice la crisi economica, gli uomini della famiglia si ritrovano senza più un posto fisso, insicurezza che ai loro occhi ha un significato molto particolare.
Perché essere precari o temporaneamente disoccupati è una cosa triste per tutti, ma quando si è tecnicamente stranieri potrebbe trasformarsi in una vera tragedia e il motivo è presto detto: nel nostro Paese, coloro che sono nati qui ma da genitori stranieri non hanno diritto alla cittadinanza, quindi, nonostante si sentano molto più italiani che non appartenenti al luogo di provenienza delle loro famiglie, di fatto vivono in un costante limbo in cui l’errore e/o la disattenzione si pagano a caro prezzo, con l’espulsione.
Fortemente voluto dal giovane e talentuoso regista, Haider Rashid, giunto qui al suo terzo lungometraggio, il film affronta, infatti, per la prima volta, il problema delle seconde generazioni. Parliamo di persone che si sentono parte della nazione in cui sono nate e cresciute, ma che non hanno diritto ad un riconoscimento formale del loro status. Un senso di appartenenza quasi negato e una vita in costante bilico, rischiando di venire obbligati a lasciare l’Italia in favore di un luogo che non è il proprio e, soprattutto, che non si conosce!
Quanto narrato in questa pellicola, che ha conquistato il pubblico e le giurie di ben quindici festival prima di arrivare nei nostri cinema, è, infatti, una storia semplice, di persone come tante intorno a noi, spesso invisibili proprio per la loro normalità, sino a quando l’ingranaggio s’inceppa facendo emergere da un lato i limiti burocratici e dall’altro quelli umani. Spesso, infatti, non ci rendiamo conto che i giovani di seconda generazione raggiungano l’età adulta senza aver mai visto il Paese dei propri genitori, magari parlando poco e male la lingua che dovrebbe essere quella d’origine e, sicuramente, non hanno alcun legame con nazioni lontane non solo sulla carta. Che cosa potrà mai fare in Algeria il nostro Said con il suo accento fiorentino? Nulla e come lui molti giovani non capiscono perché debbano nel 2013 ancora essere considerati di serie B!
La pellicola ha l’evidente volontà di scuotere gli animi, scrollarci di dosso il torpore che ci impedisce di vedere tutto questo e d’accelerare un processo d’integrazione che in altre nazioni è stato affrontato e risolto decadi fa. Dati i nobili intenti dispiace, quindi, un po’ che nell’insieme il film appaia acerbo e che il tentativo di farci affezionare ai giovani protagonisti riesca solo a metà, complice forse il taglio da docu-fiction scelto, sicuramente non nelle mie corde.
Voto: 6–. Opera gradevole, col pregio di stimolare alla riflessione e col difetto di avere ancora molto margine di crescita.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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