Due sere fa mi sono rivista il dvd di IRON MAN, ieri sera IRON MAN 2 e oggi, finalmente al cinema, IRON MAN 3: sono perciò nella migliore disposizione d’animo per parlare della mostra ANDY WARHOL’s STARDUST – Stampe dalla Collezione Bank of America Merrill Lynch. Che c’entra, direte? Tanto per cominciare il supermiliardario Tony Stark diventa Iron Man per farsi perdonare un passato da fabbricante d’armi, e forse, ma solo forse, Merril Lynch ha bisogno di farsi perdonare qualche recente peccatuccio, meno sanguinoso ma altrettanto deleterio…
Bando alle insinuazioni, seppure scherzose: c’entra, perché l’opera di Warhol, che iniziò come illustratore e pubblicitario, non sarebbe stata la stessa, lui non sarebbe stato lo stesso, se la sua produzione artistica non avesse viaggiato in parallelo, nutrendosene abbondantemente, con quella potentissima macchina di cultura popolare che sono stati e sono tutt’ora i fumetti per l’immaginario collettivo prima degli americani e poi del resto del mondo. Lo sa riconoscere anche il visitatore meno esperto, dai fumetti arrivano l’uso della china nello scontornare le figure e soprattutto i colori di Warhol: quegli arancioni accanto al verde-mela, al fuxia, al giallo limone, certe pennellate di turchese o di viola, accostamenti a cui oggi siamo ormai abituati, ma che nei primi anni ’60 crearono grandissimo scandalo.
In un’unica grande sala al pianterreno del bel Museo del ‘900, corredati da didascalie sintetiche ma chiare ed esaustive, sono stati radunati pezzi fondamentali della sua produzione, alcuni singoli ma nella quasi totalità nel modo migliore possibile, cioè in portfolio completi. Si tratta infatti di interi gruppi di 10 serigrafie ognuno, che danno modo di seguire e capire le intenzioni dell’autore molto meglio di quando le vediamo isolate, su cataloghi o libri di storia dell’arte. Intenzioni ironiche e corrosive per le mitiche lattine di Campbell Soup del 1969, al pollo, alle ostriche, al formaggio e in altre versioni che solo gli americani sembrano essere in grado di apprezzare.
C’è un portfolio “di circostanza” realizzato su commissione, 10 ritratti di Ebrei del 20° Secolo, da Gertrud Stein a Sigmund Freud, da George Gershwin ai Fratelli Marx (!) ma anche 10 serigrafie di frutta, quelle che si dovrebbero chiamare “nature morte”, e invece sono allegre e piacevoli. C’è un quartetto del 1978 dedicato a Cassius Clay/Mohammed Alì e di fronte la famosissima serie Flowers del 1970: sempre gli stessi 4 fiori stilizzati, certo, ma con colori così intensi e vari che è bello poterli ammirare tutti insieme.
Dal tipo e dal modo dei miei commenti avrete certo capito che non sono una specialista o una storica dell’arte: sono solo una persona curiosa, attratta dalle cose belle che la città offre. Questa lo è, visitatela in leggerezza, senza timori o pregiudizi, e “guardate le figure”, è quello che Warhol avrebbe voluto. E mi raccomando: portate i bambini, si divertiranno un sacco e a casa disegneranno per settimane.
La mostra è allestita presso il Museo del ‘900, nel Palazzo dell’Arengario in piazza del Duomo -vanta un’apertura molto lunga tutti i giorni – possibilità di ingresso gratuito con modalità e in orari da controllare sul sito del museo
Presso la libreria del Museo è disponibile gratuitamente una guida illustrata alla mostra, ricca di spiegazioni, utile e ben fatta, in italiano e in inglese.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
Di mostre di Warhol ne ho viste ormai non so più quante..l’ultima l’anno scorso a Porcari ( LU ) alla Fondazione Lazzareschi insieme ad una bellissima raccolta di video di Haring. Sicuramente non mancherò questa di Milano….sperando magari di incontrarvi l’amico Alfonso.. Le sue opere più belle però le ho viste a fine 2010 a Parigi, al museo d’arte moderna, alla mostra di Basquiat, il frutto, chiamiamolo, della loro comune avventura .