Ennesimo caso editoriale, ennesima serie di libri nata nelle nordiche terre svedesi, ennesimo poliziesco intricato che dopo il successo nelle librerie approda su grande schermo, ennesimo adattamento cinematografico che fa inarcare sopracciglia (e non solo) sin dalle prime inquadrature, ennesima delusione (per lo meno ai nostri occhi) nonostante la partenza sembrasse di quelle con il motore così su di giri da regalarci adrenalina a pioggia e tenerci sulla corda per due ore.
Scena d’apertura controcorrente che ci offre una strage, una semina di vittime in vari punti della città e sangue in ogni dove, dall’attico alla cantina, con pure qualche primo piano di gole tagliate. E, così descritto, sembra un film piuttosto splatter e/o un horror con killer psicopatico che ha la meglio, invece no, niente paura, alla fine la risata regnerà sovrana (con l’imbarazzo di molti) senza turbare il sonno di nessuno.
Premetto di non aver mai sfogliato neppure per sbaglio uno dei tomi da cui il regista ha tratto ispirazione, ma a dire della platea mi sono solo risparmiata qualche sferzata di gastrite e un ulteriore punto da aggiungere al già nutrito elenco delle debolezze di un’opera difficile da guardare rimanendo seri e quieti sino ai titoli di coda. Partiamo proprio dalla scena iniziale, una lodevole idea realizzata un po’ così: troppo riconoscibili i manichini col risultato che l’effetto sorpresa di chi fosse incosciente e non defunto svanisce in un batter d’occhio.
Agli effetti ben poco speciali e neppure realistici – ahinoi – dobbiamo aggiungere una sceneggiatura debole, lenta, farcita d’inutili dialoghi che al posto di dare spessore ai personaggi li rende così deboli da apparirci tutti affetti da qualche malattia rara, con scambi da soap-opera davvero surreali e terribilmente esilaranti. Come se non bastasse, ci si mette pure la recitazione ad abbattere definitivamente le ambizioni di creare suspense: attori rigidi (che sia il gelido clima svedese?) e con lo sguardo così perso nel vuoto (e quasi mai rivolto alla telecamera) da farci presto assopire… quindi, sul colpo di grazia inflitto dal montaggio, a questa storia dall’intreccio piuttosto classico e raramente condita da intriganti guizzi, non infieriamo oltre.
Storia di una famiglia sterminata da un folle determinato a concludere, per qualche misterioso motivo, l’opera non portata a termine in prima battuta. Dall’agguato si salva, infatti, un ragazzo che però non è in grado di parlare a causa delle lesioni riportate, e qui entra in gioco l’ipnotista… peccato che le sue pene familiari dominino i primi 45 (q u a r a n t a c i n q u e) minuti del film e ci facciano dubitare di essere di fronte ad un thriller (e nella seconda parte del film non va meglio…).
È inutile, da qualsiasi angolazione si parli della pellicola, non la si riesce a salvare: opera che non intriga, non permette l’immedesimazione, non incuriosisce e non ci fa neppure venire voglia di esplorare Stoccolma e dintorni. Bocciata senza appello! Ci stupisce che il curriculum del regista (Lasse Hallström) non sia riuscito ad avere la meglio :|
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”