E’ la storia di Walt Kowalski, vecchio metalmeccanico di Detroit (ha una vera idolatria per la Ford Gran Torino del 1972 che conserva gelosamente in garage). E’ un veterano della Corea, un pensionato scorbutico, solitario e un po’ razzista; non riesce ad abituarsi a quanto è cambiato il suo quartiere, a tollerare l’invasione dei “musi gialli” a cui aveva sparato in guerra e che ora lo circondano. Ma è un uomo profondamente giusto e onesto, quando deve difendere un “cinesino” da dei teppisti lo fa senza pensarci due volte. Insieme alla gratitudine dei parenti del ragazzo trova una nuova, vera famiglia all’antica, migliore della sua, fastidiosi arrivisti che pensano solo al denaro e all’apparenza. E per difendere questa nuova famiglia combatterà fino all’estremo sacrificio.
E’ un film epico e bellissimo, su valori e principi: onestà, correttezza sul lavoro, rispetto verso le donne e i deboli, senso del dovere, che in America, o meglio in tutto il moderno Occidente, stanno pian piano sparendo. Ma non certo un film noioso o pedante: c’è un grande amore per l’umanità e un umorismo gentile; un uomo alla fine della sua vita che sa ancora apprezzarne le cose belle, e che essendo appunto alla fine non è più interessato a prendere ma sa e vuole ancora dare.
In seconda serata FUGA DA ALCATRAZ (1979) regia di Don Siegel.
Sono molti i film di ambiente carcerario, da Il Profeta a Il Miglio Verde, da Dead Man Walking al nostro Detenuto in attesa di giudizio. Ma i più intriganti sono sempre quelli in cui si raccontano le evasioni: dal capostipite Il conte di Montecristo, a Papillon, a Le Ali della Libertà. Ma questo è diverso.
Ispirato ad una storia vera, racconta di Frank Morris, arrivato nel carcere di Alcatraz (San Francisco) nel gennaio 1960. E’ un uomo freddo e razionale, il suo passato è riassumibile nella frase: “Che infanzia hai avuto Frank”? “Breve.” Da quella prigione nessuno è mai riuscito a evadere, eppure Morris ha un pensiero fisso: scappare. Dopo 3 anni ce la fa, e nessuno è mai riuscito a riprenderlo.
Già da alcuni anni Clint Eastwood aveva fatto il gran passo verso la regìa e si stava avviando a diventare uno dei più significativi autori americani, ma qui si è affidato a un vero maestro dell’action, quel Don Siegel che oltre a dirigere Il Tesoro di Vera Cruz, L’invasione degli Ultracorpi, L’Inferno è per gli eroi lo aveva aiutato a liberarsi dell’immagine del cavaliere solitario da spaghetti-western cucendogli addosso un nuovo personaggio indimenticabile: l’Ispettore Callahan nel primo dei cinque film dedicati a Dirty Harry.
Fuga da Alcatraz è un action claustrofobico e violento, asciutto e tesissimo, dove il vero cattivo, guarda caso, è il sadico direttore (Patrick McGoohan, curiosamente Il Prigioniero nell’omonima, mitica serie tv). Sai che novità, dirà qualcuno; ma ricordiamoci che il film, girato nel 1979, è ambientato nel 1960: l’aperta e democratica California non era ancora né così aperta né così democratica e in molti altri Stati pena di morte e segregazione razziale erano realtà indiscusse e indiscutibili. Non ci sono gli eccessi “muscolari” di OZ o di Prison Break, ma una violenza sorda e grigia; il realismo quasi documentaristico e la regia misurata e funzionale ne fanno un vero capolavoro.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.
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