La mano mi trema un pochino, la freccetta nera del puntatore del mouse si muove lentamente puntando verso le stellette che identificano il voto dato dai lettori sui Anobii.
Devo farmi coraggio, devo farmi coraggio.
Ok, mi faccio coraggio. Cinque stelle le riservo solo ai capolavori, quattro sono per i libri che mi hanno davvero convinto, colorarne soltanto tre identifica un romanzo su cui mi tocca esprimere delle riserve.
Lo faccio? Ok, lo faccio.
L’ho fatto. Ho dato solo tre stellette all’ultimo libro della Nothomb. No, dico, io che le ho riservato un’intero scaffale della libreria, io che mi sono andato a cercare ogni parola pubblicata in Italia, compresa una raccolta di racconti che non avevo avuto il coraggio di definire rivedibile. Io che mi son preso un pomeriggio di ferie due anni fa per andarla a fotografare in Feltrinelli, con quel cappello buffo e la pazienza nel rispondere alle stesse domande sulla sua fantasia riproposte in una sala strapiena che la acclamava. Ed, infine, io che ho divorato anche “Barbablù” in una sola tirata, beandomi della incredibile capacità di intessere dialoghi che reggono interi universi ed una invidiabile capacità di attribuire a protagonisti e personaggi secondari dei nomi semplicemente per-fet-ti.
Si, però non ce la faccio proprio. Eccheccavolo. Uno deve essere onesto con se stesso e con gli altri, e nella lettura dell’ultima fatica letteraria della Nothomb ho avvertito alcune note stonate, come quando guardi i provini di X-Factor e il cantante che sembrava così promettente stecca orribilmente, e senti che ti dispiace per lui.
Il primo, e più evidente, è che la trama non può non ricordare – a chi della Nothomb si sia bevuto quasi ogni sillaba – il suo “Causa di forza maggiore”, con due sconosciuti a scoprirsi sorseggiando champagne (“oro liquido”, e quanto è importante il cromatico nei romanzi della scrittrice belga). No, dall’autrice di “Acido Solforico” sono costretto ad aspettarmi ben di più che il riciclaggio di una storia che appare già letta. Gia, “Acido Solforico”, un romanzo con una protagonista indimenticabile (dal nome ancor più difficile da scordare, la bella Pannonique) che la coraggiosa Saturnine di “Barbablù” finisce per richiamare in più di una caratteristica. E chi è il contraltare di Saturnine in questa nuova narrazione? L’eccentrico Don Elemirio, misantropo, lontano dalla società, incapace di esserne attratto. Ehm, ma non sto rileggendo l’”Igiene dell’assassino”, vero?
Ok, forse ho esagerato un po’, ma non importa. “Barbablù” si fa leggere, mistero e intrigo si svelano con grazia perfida e se siete al vostro primo Nothomb probabilmente vi fulminerà. Se la conoscete bene, avrete l’impressione di esservi portati a casa un piccolo Bigino della sua narrativa, e non ve lo meritate. Tre stellette.
Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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