Infine eccoci qui a parlare di Barbara. Quanto l’ho inseguita in quel di Berlino lo scorso anno, da non credere che alla fine sia riuscita a vederla solo una volta rientrata in città dalla Berlinale 2013 (!). Perché un anno fa, nonostante fosse in scaletta tra le opere da non perdere, riuscii con precisione chirurgica a mancare tutte le proiezioni a causa di ritardi, fermate errate della metro, conferenze stampa intriganti, passaggi extra e chi più ne ha più ne metta.
Oggi posso affermare serenamente di avere un angelo custode che dovrei imparare a prendere maggiormente in considerazione: mi ha protetto per ben dodici mesi e appena ha abbassato la guardia, ho fatto il danno. “Barbara” diventato da noi “La scelta di Barbara” è un film che ci riporta nel lontano 1980, in una Germania ancora divisa in due, dove pensare di andare a Ovest era un’utopia e il solo tentativo di oltrepassare la cortina di ferro veniva punito con varie forme di esilio.
La protagonista della nostra storia lo sa bene, dopo aver chiesto un visto d’espatrio, infatti, è confinata in un paesino di provincia e viene tenuta sotto stretto controllo dalla polizia locale. Barbara è un medico, è di Berlino ed ha un compagno ad Ovest che non riesce a raggiungere. Con il cuore spezzato, in attesa della tanto agognata fuga, deve vivere in un luogo sperduto, ventoso, lambito da un mare gelido, popolato da gente sospettosa e per nulla socievole. In quest’ambiente ostile la donna si dedica alla sua professione e cerca di non entrare in confidenza con nessuno sino alla partenza. Come prevedibile, qualcosa accadrà e i piani prenderanno una piega inattesa.
Nonostante una trama che si presta a stimolare riflessioni sul nostro passato recente, a parallelismi con la crisi attuale e alle conseguenti modifiche comportamentali e ancora, passando a un piano più intimo, alle scelte della vita, all’importanza di fiducia, passione e coerenza nella propria esistenza, alle conseguenze delle piccole e grandi scelte e sulla semplicità con cui per una giusta causa si rischi la propria incolumità, il film riesce nel suo intento solo a metà.
Purtroppo già dopo pochi minuti una strana sensazione di disarmo s’impossessa di noi e prende piede la convinzione che qualcuno abbia confuso i prolungati silenzi, i sibili del vento, la penombra per espedienti in grado d’innalzare in automatico il pathos, di creare un legame col pubblico e di far sorgere una sorta di tifo per i personaggi. Ma non è così…
E il terrore in cui versava la popolazione dell’Est s’intuisce grazie al supporto dei nostri ricordi e della logica non per la recitazione asciutta e le battute povere (e piuttosto bruttine) su uno sfondo misero e desolante. Insomma, Barbara non riesce mai a superare lo schermo e ad arrivare a noi, non ci tocca o stimola, riesce solo a strapparci qualche isterica battuta durante lo scorrere dei minuti finali quando, oramai sfiniti, non sappiamo più a quale santo votarci per far sopraggiungere l’epilogo già intuito da molti minuti.
Non è un dramma angosciante, molti gli spunti per il pubblico ma non approfonditi, lo script appare acerbo e la recitazione è quasi una parodia di sé stessa. Bocciato!
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”