Recensione di Educazione Siberiana il nuovo film di Salvatores

Infine è nei cinema, il film di Gabriele Salvatores di cui si è sentito tanto parlare è arrivato e la curiosità di molti  potrà essere soddisfatta. Siamo onesti, abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto, quindi la voglia di vedere la nuova fatica del regista è davvero ai massimi storici!

“Educazione Siberiana” è un film che nasce da un libro molto particolare scritto da Nicolai Lilin, è la storia di un uomo cresciuto in una terra lontana dalla nostra, ricevendo un’educazione durissima che trasuda onore e principi. Siamo nel Sud della Russia, in un luogo che appare come un rifugio per criminali e tra tutte le etnie sicuramente i siberiani sono i più temuti, loro sono detti i “criminali bianchi” per tutte le particolari e rigide regole che disciplinano un modus vivendi che da un lato ammette il furto e dall’altro non tollera che i soldi vengano portati in casa.

Il racconto ruota attorno a due ragazzi e alla loro crescita nell’arco di quel decennio che li porta dall’infanzia all’età adulta. Kolima e Gagarin sono due amici per la pelle che verranno divisi dal carcere (in cui uno dei due sarà rinchiuso) e, dopo molto tempo, si ritroveranno per scoprire di non avere più nulla in comune, neppure quei principi coi quali entrambi erano stati cresciuti. Questa è la storia di un popolo, di una persona, di rituali reali che al nostro occhio estraneo paiono perfetti per una pellicola di finzione. E la saga è godibile, l’educazione siberiana intriga e stupisce lo spettatore per come riesca a far convivere regole che al nostro occhio paiono opposte, incompatibili, e la narrazione è abbastanza ricca da non far mai cadere l’interesse. Però qualcosa ci sfugge, non si svela o manca, e questo è il punto su cui ognuno di noi ha un’opinione differente.

La cosa che più colpisce è che la terra teatro di questa saga non perdoni, anche il clima tempra le persone, quindi è terreno fertile proprio per codici comportamentali rigidissimi e rituali che coinvolgano quel fisico fortificato dall’ambiente e dal tempo. Tutto è conseguentemente orientato al rigore, alle regole, al rapporto imprescindibile e indiscutibile con un mentore quindi il racconto diviene efficace più il suo narratore è altrettanto rigido, freddo, asciutto, in grado di colpire lo spettatore senza preamboli, in modo diretto, inatteso e rapido.

La sensazione non è che il regista abbia commesso grossolani errori, anzi si percepisce una direzione decisa, credo sia più l’emergere di quell’innata sensibilità tipicamente mediterranea che tutti noi abbiamo e non possiamo eliminare dalla nostra personalità, la quale stride con questo ambiente scevro di calore. Forse, un occhio con un retaggio differente (magari proveniente da terre vichinghe, per esempio il Vinterberg de il Sospetto) sarebbe riuscito a rimanere più in linea con l’originale (ammesso che qualcuno preferisse una pellicola più violenta) e a non introdurre un profumo melò.

Io comunque lo promuovo, probabilmente perché ho trovato intrigante la storia di Lilin – cosa che potrebbe avermi ben disposta nei confronti di Salvatores – così come sono dell’idea che questo film sia godibile proprio grazie alle sue imperfezioni. Ho solo un dubbio legato all’inflessione data a John Malkovich nella versione doppiata che cercherò di dipanare al più presto, nel mentre però son curiosa di leggere i vostri commenti  :)

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