“Prince Avalanche” fa parte a pieno titolo del cosiddetto cinema indipendente, con attori di richiamo (Emile Hirsh e Paul Rudd in veste molto meno comica del solito), orientato alla natura, ai rapporti umani e alle priorità della vita. Insomma, il pacchetto è davvero completo: alternativo, ambientalista, un po’ moralista senza mai perdere la speranza ed è pure un remake (del film islandese “Either Way”).

Questa è la storia di Alvin e Lence, due addetti al rifacimento della segnaletica stradale, il primo riflessivo e impostato, il secondo giovane e impulsivo. Alvin, fidanzato della sorella di Lence, porta con sé il giovane con speranza di insegnargli a vivere. Il duo in convivenza forzata sulle montagne non è, ovviamente, ben amalgamato: Lence pensa solo alle donne e a divertirsi, Alvin è talmente rigido da esser diventato mentalmente anelastico e  aver dimenticato l’importanza di una risata.

Immersi nella natura incontaminata, attorniati da un bosco o, meglio, da quel che ne rimane dopo un devastante incendio (si fa riferimento a quello del 1987 in Texas), i ragazzi sono per lo più soli, quindi non possono sfuggire a sé stessi. Inevitabile l’irruzione sulla scena di un confronto/scontro di vedute e di disquisizioni sulle priorità nella vita, discorsi che si alternano a grandi passeggiate per schiarirsi le idee caratterizzate da lunghe inquadrature dedicate al paesaggio circostante, con tanto di sottofondo musicale ad hoc.

La trama è pressoché tutta qui, fondamentalmente i protagonisti parlano-pensano-parlano-dormono (più o meno questo è l’ordine) sino al giorno in cui un evento negativo creerà scompiglio nelle loro vite riuscendo però ad aprire un dialogo che invertirà le prospettive e e creerà un legame in grado di ridare equilibrio ad entrambi. Il film ha, quindi, due evidenti pilastri: l’essere umano debole, dipendente e non sempre determinato, e la natura forte, indipendente e che segue il suo corso.

L’esaltazione della perfezione del cosmo in contrapposizione con i limiti dell’uomo è palese ancora prima della sigla di apertura (ogni fotogramma è orientato al natural/bio/eco-compatibile) e le parti ad esso dedicate colpiscono per la dovizia con cui sono girate (davvero degne del miglior documentario), ricche di inquadrature su quel microcosmo in grado di riportare la vita laddove l’uomo ci ha messo del proprio.

Silenzio vs diverbi, natura vs uomo, perfezione vs imperfezione e alla fine tutto torna in equilibrio, ecco un film in cui la parte più piacevole è vedere per una volta Paul Rudd recitare in modo convincente senza cercare di farci ridere.