Ci sono film che escono in momenti in cui è destino perdere la prima ed il recupero è pressoché impossibile a causa di costanti imprevisti che si frappongono tra noi e l’ingresso in sala. Poi c’è Margaret Mazzantini, autrice apprezzata dal pubblico con la quale ho un rapporto difficile: la sua prosa mi affatica nonostante sia scorrevole, probabilmente è una questione di argomenti e nulla di più, fatto sta che non riusciamo ad ingranare e pochi giorni fa è capitato pure al cinema, quando sono infine riuscita a vedere la pellicola che inseguivo da tempo.

“Venuto al Mondo” è un film tratto dall’omonimo romanzo dell’autrice, dotato di recitazione e regia privi di sbavature, tutto scorre liscio sino all’ultimo fotogramma ma, anche questa volta, non mi ha provocato irrefrenabile soddisfazione, pianto o, in generale, emozioni. Non ho mai trattenuto il respiro, una totale assenza di coinvolgimento nonostante sullo schermo scorresse una storia di donne, per una platea di donne, in un cineforum popolato dalle donne del quartiere.

Sia ben chiaro, non mi ha neppure infastidita o provocato rabbia, è come se il modo in cui venissero presentati i fatti fosse alieno al mio intimo, tutto qui.

Qual è la toccante trama?

Partiamo dalla parte romantica, la storia d’amore di Gemma e Diego che nasce durante le olimpiadi invernali del 1984, lei è a Sarajevo non in qualità di cronista bensì per raccogliere materiale per la tesi su un poeta bosniaco; lui è un fotografo americano, eclettico ed incredibilmente attaccato alla vita. Il caso li farà incontrare, piacere, innamorare (mai un rifugio fu più galeotto!) e tutto per merito di quella guida locale, Gojko, che diverrà una presenza costante nelle loro vite, un amico per sempre.

E poi c’è il lato più drammatico, il sentimento travolgente e sconvolgente tra Gemma e Diego; una Sarajevo prima, durante e dopo la guerra; e gli amici sempre più segnati dalla follia dell’uomo. Un mondo fuori dal nostro uscio con i suoi avvenimenti tragici che ci hanno sfiorati e mai toccati, fa da sfondo alla storia di una donna forte che il destino ha preso di mira. Quel luogo sarà teatro di tutti i momenti importanti nella vita di Gemma: imprevisti, scoperte e sorprese. Un viaggio nel tempo, tra passato e presente, per narrare una passione, un’ossessione, tante tragedie.

La trasposizione cinematografica di tutto questo e molto di più è affidata alla regia di Sergio Castellitto e vede nel cast comparire suo figlio Pietro (una delle più belle sorprese), affida Gemma ad una Penelope Cruz di una freschezza che sfida l’anagrafe, mentre Diego ha il volto di Emile Hirsch, che è come lo vogliamo (versione blanda del Christopher di “Into the Wild”) e ha come spalla in terre romane niente meno che Luca De Filippo qui Armando, il padre di Gemma.

Il cast è ricco, la presentazione dell’opera ai festival internazionali sottolinea la voglia di competere coi grandi, ma manca qualcosa. Sarà il mettere molto nel piatto non approfondendo, sarà il mescolare i generi senza quindi mai riuscire a strappare lacrime di dolore o di gioia, fatto sta che i compiti son fatti bene ma non ottengono il massimo dei voti.