C’era una volta… Grandi Speranze

Oggi torniamo a scuola e spolveriamo un classico: Grandi Speranze. Niente paura non vi faremo riesumare alcuna pagina dai cassetti della memoria, non pretenderemo la recitazione di brani scelti, solo vi racconteremo della trasposizione cinematografica appena uscita in sala. D’altro canto, si sa, a Natale siamo tutti più buoni e qualora non lo diventassimo spontaneamente una spinta dall’esterno potrebbe essere utile ;)

“Grandi Speranze” fa leva su tutti i sensi di colpa di cui possa essere afflitto un essere umano e su qualsivoglia trauma che in infanzia possiate aver avuto o di cui abbiate sentito parlare. Famiglie divise dalla malattia, dalla povertà o dalla mala sorte; senza contare le numerose manipolazioni, i bambini usati come esche per i loschi affari degli adulti o i giovani considerati giocattoli dagli irresponsabili fuori di testa che ne hanno la tutela; e ancora vendette, cuori infranti, amori impossibili; senza dimenticare una sterminata quantità di umani errori e di conseguenti pentimenti di coloro alla ricerca del riscatto morale e sociale.

Esatto, il film è tratto dall’omonimo libro di Charles Dickens ambientato in quell’Inghilterra vittoriana, bacchettona, imperialista e un po’ ipocrita della seconda metà ‘800 e ci racconta la vita di una manciata di pittoreschi personaggi, tra i quali emergono Pip e Estella, la cui crescita è il fulcro di tutta la vicenda. Due bimbi inizialmente destinati ad una vita di stenti che vengono riscattati quasi per capriccio e sicuramente per alleggerirsi la coscienza.

L’inganno è sempre dietro l’angolo, le alterazioni della realtà sono una cattiva abitudine e gli uomini con un cuore ricolmo di stima, rispetto e amore latitano. Un ritratto di un’epoca, di un paese e di una classe sociale accurato, come l’autore ci ha abituati, e se il libro ha turbato la nostra adolescenza (inutile dire il contrario, i classici si apprezzano solo dopo aver raggiunto la maggiore età, prima sono un terrificante supplizio!), questa versione per immagini detiene anche’essa un primato: l’ottima presentazione non ci provoca alcuna reazione.
Complice la buona fotografia, una realtà antica ritorna a vivere, con tutti i suoi impolverati fasti, la rivoluzione industriale e chi più ne ha più ne metta, soprattutto, se non fosse per le pittoresche situazioni dell’epoca, probabilmente avremmo facilmente creduto di essere ai giorni nostri, caratterizzati da una ricchezza opulenta che si contrappone alla crisi economica (che impoverisce sempre più anche i cosiddetti borghesi) e sottolinea come il potere sia in mano sempre ai “soliti ignoti”.

Questa versione cinematografica della storia dei due fanciulli fortunelli è stata affidata a David Nicholls (lo scrittore di “One Day”) con il supporto in regia di Mike Newell (il regista di “Quattro matrimoni e un funerale” n.d.r.). E il duo, per rendere moderna la favola dal passato glorioso, ha convocato un cast composto tanto da stelle quanto da giovani promesse, alcune delle quali già incontrate sul set di Harry Potter.

Se sulla recitazione di Ralph Fiennes e di Helena Bonham Carter è difficile eccepire alcunché, qualche riserva sul protagonista invece l’ho: a tratti un po’ statico, spesso con lo sguardo da cucciolo smarrito e/o da pesce lesso e, decisamente, poco emozionato ed emozionate. Insomma, in platea non si soffriva, tifava o sperava quindi nonostante l’elegante confezione il mio voto è di sufficienza sfiorata: 6 – -. Ed ora mi sento già un po’ più buona ;)

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