copertina romanzo di tutte le bellezze stefano benni

Nostalgia.

Si può aprire e chiudere una recensione con una stessa parola? Ma si, via, credo che si possa, a patto di provare almeno a spiegare perché sia stata scelta quel sostantivo, e non un altro. Quindi, ecco, nostalgia.

E’ la prima sensazione che ho provato mentre mi godevo la lettura dell’ultimo romanzo di Stefano Benni. Nel senso che si percepisce fin da subito che la trama avrà uno sviluppo lineare (attenzione: non è una critica!), incentrata su un (meraviglioso) anziano intellettuale ritiratosi a vita privata in un paesino piuttosto sperduto, accompagnato da uno (splendido) cane di nome Ombra ed uso alle chiacchiere con tutta una serie di animali che compaiono sull’uscio di casa e si intrattengono con lui. Benni è Benni, un autore capace di mettere d’accordo padri e figli, conservatori e progressisti, tecnocrati e tradizionalisti; eppure, ho avvertito un pizzico di disillusione quando ho compreso che non sarei stato al cospetto di una di quelle trame meravigliosamente ingarbugliate che ci ha saputo regalare, con personaggi assolutamente autonomi che si muovevano (letteralmente!) fra le pagine del libro e che ti portavano a domandarti come potessero mai incrociarsi in un finale credibile. E alla fine il buon Benni tirava un filo invisibile, in un gesto che ti veniva voglia di dire “no! così si annoda tutto!” e invece tutto finiva per costituire una rete perfettamente intrecciata, nemmeno un incrocio fuori posto.

Continuando a leggere, e perdendomi nella solitudine un po’ polare di Martin e nei suoi studi su un poeta rinchiuso in manicomio, le cui rime costituiscono il vero asse portante del romanzo, mi sono accorto che la nostalgia stava diventando un vero elemento narrativo, amplificato dall’arrivo di due nuovi vicini nello sconsolato paesino. Una coppia giovane di cui fa parte Lei, una figura femminile semplice e complessa, bellissima e mai inquietante, che risveglia NON i sensi dell’anziano protagonista ma i ricordi di una donna e di una giovinezza, con delicatezza e poesia. Ed è certo un Benni forse più vicino ai racconti de “La grammatica di Dio” che ai romanzi più celebri e un po’ sguaiati che ci hanno fatto piangere dal ridere. E non dispiace affatto, perché non manca un pizzico di quella verve (il decalogo canino è da incorniciare) che viene accompagnata da una sorta di malinconia non struggente, verso la quale è impossibile non provare empatia ed emozione. E di pagine che siano in grado di emozionare sentiamo tutti un gran bisogno.

E a volte c’è bisogno anche di lei: Nostalgia.

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