C’è la storia di un gruppo di militari italiani impegnati nelle operazioni in Afganistan.
Ci sono tutti i dubbi del bel maresciallo Renè, diviso fra un figlio inaspettato (forse) in arrivo e una realtà quotidiana fatta di mortai, sparatorie, compagni caduti.
Ci sono i problemi familiari del tenente Egitto, lo squarcio irreparabile fra la sorella e i genitori, una di quelle situazioni di pura sofferenza umana con cui capita di doversi confrontare senza mai trovare le parole o i gesti adatti.
C’è l’inesperienza verso tutte le cose della vita del Caporalmaggiore Ietri, la ruvidezza di una donna in divisa, l’apparente solidità di un militare in carriera alla ricerca di un futuro nelle forze speciali.
C’è una trama coraggiosa, ambientata in un contesto – quello delle nostre missioni militari all’estero – che non è mai stata seriamente affrontata dalla nostra letteratura. Un contesto in cui inevitabilmente ci si finisce per dividere fra approvatori ad ogni costo (italiani brava gente, andiamo a costruire strade e scuole…) e simil-pacifisti d’altri tempi convinti di vivere ai tempi del Vietnam e capaci di indignarsi solo per i conflitti più mediatici. Uno sfondo in cui si innestano con perfetta drammaticità le paure, le storie, i pensieri ed i corpi – si, i corpi – di uomini che non sono né eroi né criminali, ma semplicemente – se di semplicità si può parlare – umani.
E c’è uno scrittore, quindi, tra l’altro nato nel 1982, che dopo aver venduto quattro milioni di copie del suo primo romanzo – il fortunatissimo “La solitudine dei numeri primi”, vincitore dello Strega 2008 – ha atteso la bellezza di cinque anni per dare alle stampe la sua opera seconda. Un aspetto che mi ha convinto ulteriormente, forse inutile sottolinearlo: cavalcare la notorietà ed il caso editoriale sarebbe stato senza alcun dubbio più semplice, ma Paolo Giordano ha deciso di attendere una Storia, una vera Storia, per presentarsi di nuovo al giudizio di critici e lettori.
La mia impressione è stata positiva: il romanzo si fa leggere – divorare, a dirla tutta – tra personaggi sofferti e sofferenti e tutta la incompatibilità fra le lacerazioni delle anime e le divise che impenetrabilmente le nascondono. La scrittura si adatta a situazioni e paesaggi che Giordano dimostra di conoscere bene: una rapida passeggiata sul sito ufficiale ci rivela cinque clip girate nel corso di due visite alle FOB italiane in Afganistan.
No, già prima della lettura non si poteva pensare ad una operazione editoriale, non a cinque anni di distanza dal successo. E terminata l’ultima pagina, l’impressione è esattamente la stessa.
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Dici Alfonso e pensi alla sua amata Triestina, alla sua biblioteca (rigorosamente ordinata per case editrici) che cresce a vista d’occhio, alla Moleskine rossa sempre in mano e alla adorata Nikon con la quale cattura scorci di quotidianità, possibilmente tenendo il corpo macchina in bizzarre posizioni, che vengono premiati ma non pensiate di venirlo a sapere. Se non vi risponde al telefono probabilmente ha avuto uno dei tanti imprevisti che riuscirà a tramutare in un esilarante racconto di “Viva la sfiga!”. Perché lui ha ironia da vendere ed un vocabolario che va controcorrente in questo mondo dominato dagli sms e dagli acronimi indecifrabili. Decisamente il più polivalente di tutti noi dato che è… il nostro (e non solo) Blogger senior che con il suo alfonso76.com ha fatto entrare la blog-o-sfera nella nostra quotidianità.
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