Cold Rock è un paese sperduto tra i monti con un clima infame, in cui vivono poche anime che non se ne vanno nonostante aleggi la convinzione sia un luogo dannato con quel cielo spesso plumbeo, la colonna sonora dei corvi e una natura che rende tutto più difficoltoso. I bambini spariscono e tutti non se ne capacitano, al contempo però pare riescano a conviverci incolpando l’ uomo “alto che vive nella foresta”, che non si capisce bene se sia leggenda o realtà ma permette loro di continuare con la routine quotidiana. E poi c’è la nostra eroina, una sbiadita Jessica Biel, che di mestiere (ma guarda un po’) fa l’infermiera, pur essendo ancora giovane è già vedova ed ha un bambino (poteva non essere così?) che entro la prima mezz’ora sparisce. Lei lotta ma alla fine ha la peggio e la storia entra nel vivo con… ritmo!
La sinossi non può che fermarsi qui, perché da questo punto in poi iniziano le sorprese, in primis il fatto che nessuno si aspettava un film così. Jessica Biel è l’unico nome di richiamo e di fatto è il perno attorno al quale tutto ruota. Con cotanta responsabilità, la incontriamo imbruttita, sciancata, stile madre coraggio, che nonostante le prenda in continuazione non molla. Lei deve portare a termine la sua missione e come ogni donna è disposta a tutto per i bambini. Ed è così che sino alla fine, sino all’ultimo tassello di un puzzle le cui tessere sono state sempre sotto i nostri occhi, la storia nella sua stravaganza funziona.
Giocando con la luce, facendoci provare disagio, freddo, quasi percependo l’odore di umido e sottolineando il degrado, oltre al nulla che circonda i (pochi) personaggi che calcano la scena, il messaggio di speranza emerge quasi inaspettatamente. Una lezione insolita trova il suo spazio. Si parla di prospettive, importanza dell’educazione e di saper cogliere le opportunità. Di alti valori quali la fedeltà e l’altruismo, e non solo, in una società che cade a pezzi. Di nuovo è tutto davanti a noi e possiamo scegliere se cogliere quanto offerto oppure goderci il thriller dall’intreccio che non permette allo spettatore di assopirsi. Qualora, infatti, intuisse alcuni passaggi (l’impianto in tre atti è palese) gli mancherà sempre quel qualcosa fondamentale per il seguente colpo di scena :)
Un film senza grandi pretese è arrivato in sordina nei nostri cinema, ma è ricco di tensione, ha ritmo e merita qualche riga soprattutto in una settimana che spicca per quantità e qualità delle pellicole che hanno invaso le sale. Forse questa sarà una di quelle volte in cui il passaparola non farà scivolare nell’oblio un’opera che è ben fatta ed in altre mani avrebbe anche potuto trasformarsi in un caso cinematografico. Voto dal 6 al 7 nonostante l’attrice principale e la sua smorfia sofferente non mi facciano impazzire, ma è l’esordio in lingua straniera di un regista (francese) che sino a ieri sguazzava nell’horror e ciò provoca il mio supporto incondizionato.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”