Poche ore fa ha chiuso i battenti il Milano Film Festival. Dedichiamo il post di oggi ad un film (del concorso lungometraggi) che ci ha seguiti dalla sezione Panorama dell’ultima Berlinale.
Victor e Rainer, i due protagonisti, non fanno eccezione, sono giovani e si strafanno di red bull corretta con super alcolici, probabilmente per superare paura e/o vergogna nell’addentrarsi nella vita (notturna) del giorno d’oggi. Li seguiamo durante una notte qualsiasi per le vie di una provincia parigina che se non fosse per la torre Eiffel, che troneggia fuori dai finestrini della metropolitana, si stenterebbe a riconoscere. Lontano dagli illuminatissimi viali e dai localini caratteristici dei quartieri carichi di storia della Ville Lumiere, i due ragazzi trascorrono una delle tante noiose serate in un anonimo locale insieme ad una vera e propria orda di giovani che, assiepati, trovano l’oblio grazie alla musica assordante.
I due sono abbandonati a loro stessi, non hanno ben chiaro cosa dia loro piacere e felicità, sono insicuri sulla loro sessualità e non sanno cosa stuzzichi i loro istinti. Al momento uno ama l’altro che ama tutte le donne che incontra (e vorrebbe farsele) pur di non affrontare il proprio amico e dirgli apertamente che non prova il medesimo sentimento nei suoi confronti (ma forse non ne è davvero convinto quindi temporeggia), l’ascendente di uno sull’altro è notevole e l’amicizia che li lega è davvero forte. Confusione, errori, spavalderia sono gli elementi negativi che fanno da contraltare alla purezza, all’amicizia, al coraggio di vivere. Insomma, una foto già vista.
Molto il chiacchiericcio legato a questa pellicola dedicata al delicato periodo della vita in cui gli ormoni comandano e si subisce l’umore altalenante a seconda dell’orario, del meteo e di chissà cos’altro, senza comprenderne bene il motivo. Argomento affrontato più volte da molti cineasti, tra i quali spicca quel Bertolucci che ci ha regalato opere pittoresche (alcune anche molto discusse) in proposito; il taglio scelto oltre ad essere un costante dejà vu non spezza il legame col passato, non rompe gli schemi del comune senso del pudore e non scandalizza in alcun modo; e la visione onirica in cui si citano brandelli di poesie segue solo l’attuale moda.
L’autrice è figlia d’arte, quindi gridare al miracolo per quanto la confezione sia ben fatta pare un po’ eccessivo: la ragazza ha da sempre accesso all’agenda di famiglia e probabilmente da quando era piccina riceve regali di compleanno dai maggiori produttori, tecnici audio – video etc. del paese, quindi non avrebbe dovuto stupire il contrario? Che sia abile con macchine da presa ed altri ammenicoli è piuttosto ovvio, noi avevamo i giocattoli lei gli strumenti di papà ;)
La sceneggiatura diviene quindi l’oggetto del contendere, scritta con mamma (!) quindi, di nuovo, rimaniamo stupiti che in poco più di 60 minuti riesca ad assopire lo spettatore nonostante sia munito delle migliori intenzioni. Poco ritmo, un lungo soffermarsi sul duo che si sballa e sugli effetti delle droghe, immedesimazione assente e dopo il quarantesimo minuto è una sofferenza… vedere per credere.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
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