L’intervallo, momento di riposo e ristoro che associamo alla scuola ed all’età (decisamente scolastica) dei protagonisti di questa pellicola, anche se l’intervallo qui pare più un momento, quasi sospeso, di pausa dalla quotidianità. Perché i nostri Salvatore e Veronica vengono indotti a scontrarsi con la realtà, a divenire adulti, a fare i conti con quello che si “deve” fare, concetto che vince sempre su quello che si vorrebbe.

Un vecchio detto cantilenava “l’erba voglio non esiste” e veniva usato dai nostri nonni per sciacquarci la bocca dall’uso del fastidioso verbo “volere”, appunto. E le immagini che scorrono sullo schermo ci confermano che solo alcuni “vogliono”. Veronica e Salvatore sono solo due ragazzi, lui canzonato dai compagni per la sua mole ed in questa lunga giornata da una ragazza che prova a fare di testa propria; lei invece è la sua antitesi, carina, sveglia, spavalda, non ancora pronta ad assecondare il capo clan. Infatti, Salvatore viene scelto perché remissivo e bravo ragazzo, Veronica invece perché tenta la ribellione. Ma cosa accade esattamente in questo film?

Lui è il carceriere e lei è la lucida vittima della forzata detenzione all’interno di una tanto bella quanto fatiscente proprietà in cui, un tempo, sorgeva un collegio – e di nuovo ci torna in mente quella pausa durante la quale si sognavano i ragazzi più grandi e si narravano fantasiosissimi gossip sui compagni meno simpatici – che qui è fonte dell’unico passatempo durante il quale i due inizieranno a conoscersi ed a notare le similitudini tra le loro vite: stanno entrambi subendo la volontà del clan di zona dal quale non possono sfuggire.

Tutti conoscono le regole del gioco, sanno che non si possono eludere e che il tentativo di sottrarsi ad esse si paga a caro prezzo. La bravata è infatti concessa, ma la punizione è esemplare e viene accettata, sia da chi è coinvolto sia dalla comunità, senza realizzare che essa possa integrare un reato (il sequestro di persona, in questo caso). Una foto, quindi, di una realtà che crediamo chilometricamente distante, ma nei fatti è più vicina del previsto. Una mentalità, un modo di vivere che in questo film non vengono giudicati ma solo narrati con un filo di poesia e d’innocenza, nonostante quest’ultima svanisca presto dagli occhi dei due protagonisti. Lei reagisce lui subisce ma alla fine entrambi son coscienti di non essere liberi.

Opera prima, una vera iniziazione alla regia e sullo schermo alla vita. Un mondo di adulti, una realtà che non si vorrebbe ma che non si sa come modificare. Gli occhi del regista scavano nei due adolescenti, scorrono lungo le pareti del (de)cadente luogo e, al termine, ci mostrano una condizione disarmante soprattutto per noi, che non avendo mai vissuto a contatto con siffatte situazioni, ci pare ogni volta incredibile che non siano solo finzione. Atterrita, a tratti assonnata, mai assopita sono arrivata all’ultimo fotogramma stanca, ma contenta di aver affrontata un tema a me tanto distante e ostile.

Un cast inatteso, una fotografia studiata che diviene sempre più cupa man mano che i due si lasciano l’adolescenza alle spalle, un’assenza di musica che colleghiamo alla carenza di spensieratezza nelle vite dei ragazzi e mai una frase stonata per uno script che pare un triste canto che mai esagera anche se non strabilia. I giovani attori convincono, ora però dobbiamo capire se abbiano interpretato sè stessi oppure sian stati così bravi da farci digerire una non bella sfaccettatura del Bel Paese.

Voto: 6, sufficiente per delicatezza e assenza di sceneggiate, ma la prossima volta ci piacerebbe vedere il regista confrontarsi con altra realtà e gli attori in panni assai differenti.